L’impronta ecologica umana sulle specie animali ha raggiunto una intensità senza precedenti. Ma questo non significa che attorno alla crisi di estinzione ci sia un consenso storico unanime. Secondo il Gruppo di Stanford (i più autorevoli ecologi del mondo che lavorano con Rodolfo Dirzo della Stanford), il collasso della biosfera è sottovalutato. Anche dagli esperti.
La scienza dell’estinzione si è finalmente rivolta, faccia a faccia, al grande pubblico. È questo il senso dell’appello firmato la scorsa settimana dai migliori ecologi del mondo su FRONTIERS (“Underestimating the Challenges of Avoiding a Ghastly Future”) e di cui abbiamo già parlato. Post verità ed estinzione delle specie non sono più concetti separati.
Basta trasformismi psicologici, autoinganni romantici, devolution e deregulation di responsabilità. E soprattutto basta con la post-verità applicata alla contemporanea condizione del nostro Pianeta nel secondo anno della pandemia.
Perché Underestimating the Challenges of Avoiding a Ghastly Future dice infatti ciò che qui abbiamo ripetuto centinaia di volte durante il primo anno della pandemia: la catastrofe ecologica è una condizione esistenziale collettiva, le cui soluzioni (faticosissime e ipotetiche) richiedono sacrifici drastici da conteggiare sull’intero apparato mentale e materiale della nostra idea di vita.
Demografia fuori controllo, consumismo spietato, stili alimentari gourmet sempre e comunque sono tutti vizi di cui soffriamo indistintamente, e che di fatto non ci siamo mai potuti permettere.
Purtroppo, l’indifferenza e l’ignavia di massa di fronte a questo disastro, che continuiamo a non voler vedere, ha le medesime radici della nostra affiliazione intima con la post-verità, quel costrutto di invenzioni manipolatorie auto-assolutorie che negli ultimi 5 anni ha funzionato a pieno regime nell’arena politica.
Le vicende politiche degli ultimi anni indicano fin troppo bene che la post verità è ormai un atteggiamento psicologico di massa, molto più pervasivo di quanto prima supposto. Il collasso della biosfera è sottovalutato, e ciò non sorprende, per gli stessi motivi.
Ma che lavora nel tessuto interstiziale stesso della nostra civiltà globale. Lo ha spiegato lo storico di Yale (e fellow del viennese Institut fuer die Wissenschaften von Menschen) Timothy Snyder in un saggio must-read sul trumpismo, pubblicato il 9 gennaio su NyTimes: “Quando noi cediamo sulla verità, concediamo potere a coloro che sono dotati di sufficiente ricchezza e carisma per creare, al suo posto, il puro spettacolo”.
“In assenza di un accordo condiviso su alcuni fatti fondamentali, i cittadini non riescono a formare una società civile, che consentirebbe loro di difendersi. Se poi perdiamo anche le istituzioni che producono fatti che hanno attinenza con le nostre vite, allora tendiamo ad indulgere in astrazioni astratte e nella finzione”.
È questa la situazione umana che il gruppo di Stanford, allargato stavolta a colleghi dal curriculum altrettanto brillante come William Ripple, un esperto di grandi carnivori e di meta-popolazioni, ha denunciato con l’appello pubblicato da FRONTIERS.
La nostra post-verità è insistere nel considerare i dati scientifici come esagerazioni degli ambientalisti, scenari di là da venire, astrazioni ipotetiche non del tutto credibili.
Atteggiamento mentale nutrito da una stampa compiacente, di destra e di sinistra, che inocula nell’opinione pubblica seducenti pillole zuccherate sui miracoli della transizione energetica, delle crocchette vegane e della circular economy. Dire una mezza verità serve a disinnescare la verità, a rafforzare il consenso nei confronti dei partiti conservatori e delle élite, a scoraggiare la nascita di un dissenso prima di tutto interiore e psicologico.
Ed è per questo che credo valga la pena riprendere l’argomento proposto dal Gruppo di Stanford.
Ecco alcune delle riflessioni di Blumstein, che, non fa male ripeterlo, hanno un valore politico, che si ripercuote sulla tenuta delle nostre democrazie e sul modo in cui le nostre società esauste e impoverite reggeranno l’urto nei prossimi decenni.
“La maggior parte di noi – gli autori del paper – sono scienziati della biodiversità. Ci siamo resi conto che ci sono parecchie cose che vanno nella direzione sbagliata. C’è un movimento consistente nel mondo della conservazione e della scienza sul campo, e anche nella sostenibilità, che incoraggia le persone a dire, le cose vanno male, ma possiamo fare qualcosa. Mi dispiace, ma diventare vegetariano non risolverà questo problema. Dovremmo tutti mangiare meno carne“.
“Volare di meno non risolverà il problema, dovremmo tutti volare di meno, fino a che non avremo a disposizione delle alternative. Le cose che ci fanno sentire bene, su cui abbiamo un controllo personale, non potranno risolvere l’enormità del problema. Dobbiamo ammettere che questa è una crisi esistenziale. Questo paper è partito come uno studio piuttosto diverso dal solito, perché ha enfatizzato la reticenza scientifica. Per dirla altrimenti, la casa sta bruciando. Possiamo anche stare a guardare, ma la casa brucia lo stesso”.
“Possono anche dirci che siamo degli spacciatori di paura, ma possiamo anche dirla in un altro modo: è questa o no, la realtà che abbiamo davanti? Abbiamo citato 150 studi che documentano in una varietà di ambiti le sfide che fronteggiamo. Questo è spacciare paura? Per come la vedo io questo paper dice come stanno le cose, i fatti. Fate ciò che volete con i fatti. Ma questi sono i fatti. Anche se incutono paura”.
“Mangiamo una infinità di specie selvatiche e il COVID è niente in confronto a ciò che è possibile. I film apocalittici in cui si vede la trasmissione aerea del virus – che il COVID possiede e in cui potrebbe anche migliorare, che per ora non è così buona. Ebbene, ci sono virus ancora più letali. Il COVID non è fatale tanto quanto potrebbero esserlo le pandemie del futuro”.
“Personalmente ritengo il COVID una goccia nell’oceano in confronto alla minaccia pandemica che sta sopra le nostre teste. La minaccia pandemica è in cima alla lista dei killer di intere civiltà. Penso che stiamo dimostrando un bel po’ di hybris a credere che viviamo ormai oltre le malattie”.
“Esaminiamo la storia. Le malattie sono state un vasto regolatore della popolazione. Non mi auguro certo che tutti muoiano sulla Terra per via di una malattia. Vorrei, però, che la popolazione umana diminuisse grazie ad una maggiore valorizzazione delle donne con l’educazione e il controllo delle nascite”.
Come avrai visto, Tracking Extinction è l’unico magazine che ha dedicato così tanto spazio e approfondimento all’appello di Stanford. Il lavoro giornalistico non è mai gratuito, anche quando risponde ad una forte motivazione etica. Tienine conto, considera la possibilità di sostenere questo magazine.
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