Home » Kgalagadi » Homo sapiens è un dittatore solitario

Si parte sabato prossimo, il 7 luglio. Destinazione: Sudafrica, Kgalagadi Transfrontier park. Obiettivo: raccontare l’habitat desertico del leone africano. Ovvero la Kalahari duneveld bioregion, la bioregione del Kalahari meridionale coperta dal veld, un prato erboso ruvido e super resistente alle lunghe siccità.

Perché dopo l’Asia (Thailandia, Vietnam), Berlino e Oslo abbiamo deciso mi sposto in ’Africa meridionale? 

Perché a Bangkok, Hanoi ed Ho Chi Min la cosa più dirompente che ho visto è stata la densità demografica umana. Il Pianeta porta il peso di 7,5 miliardi di persone, una condizione che impone costi energetici insostenibili sui tempi lunghi.

Ma non si tratta solo di questo, e cioè di cambiamento climatico.

I nostri numeri esorbitanti ci hanno posti in una situazione esistenziale estrema. Certo, ce ne accorgiamo a stento nelle grandi città ,dove viviamo confinando il pensiero allo schermo dell’Iphone.

La mostra sulla sesta estinzione di Joerl Sartore a CityLife. La foto ritrae un esemplare di leone berbero in uno zoo europeo.
(cartellone pubblicitario per la mostra sulla sesta estinzione di Joerl Sartore a CityLife. La foto ritrae un esemplare di leone berbero a in uno zoo europeo)

Eppure, stiamo rimanendo soli su questo Pianeta: soli pur in mezzo a migliaia di nostri simili.

Questa è la nostra strana, irriverente solitudine contemporanea: aver scelto di vivere senza gli altri – le specie animali non domesticate – e quindi senza il Pianeta stesso.

Camminando ogni giorno lungo la Hang Bac di Hanoi, visitando il mercato del pesce al Ben Than Market di Ho Chi Min, era questo il denso fumo da cui non era possibile sfuggire, più coatto del caldo tropicale: l’esilio e l’estinzione imposti alle altre specie.

E il sentimento di compiacimento perverso che noi umani sembriamo ricavarne.

Cosa è l’estinzione? L’estinzione è una infinita solitudine.

Presto potrebbe finire anche l’Antropocene, scrive E.O.Wilson, a vantaggio dell’Eremocene: lL’età della solitudine, e cioè, di fatto, un’epoca cupa abitata solo da noi esseri umani e dalle nostre piante selezionate e dai nostri animali addomesticati.

E una distesa di campi coltivati ovunque nel mondo fin dove può spingersi lo sguardo”. Sempre più, Homo sapiens prende i tratti di un dittatore solitario. 

Nel Kgalagadi lo spazio esiste ancora. Un orizzonte compare all’alba ogni mattina, al sorgere del sole.

Al Kgalagadi stanno 500 leoni che sono il simbolo dello spazio e di una convivenza possibile tra uomini e predatori.

Il leone ha perso in un solo secolo, il Novecento, il 75% del suo home range. Il leone africano attuale è qualcosa di più della storia di Cecil, il grande maschio abbattuto dal dentista americano in Zimbabwe nel 2015, perché è qualcosa di meno: una capitolo ormai molto ridotto della diversità genetica della specie di inizio Novecento.

Ma ciò che un tempo fu è ancora visibile al Kgalagadi. 

La mostra sulla sesta estinzione di Joerl Sartore a CityLife
(La mostra sulla sesta estinzione di Joerl Sartore a CityLife)

Perciò, mi è parso un presagio fausto che qui a Milano sia stata inaugurata proprio in questi giorni la mostra pubblica del progetto Ark di Joel Sartore, nel parco di CityLife.

Andate a vederla.

Ascoltate il silenzio che emana.

L’icona milanese di Ark è il ritratto del leone berbero, una sottospecie di leone ormai estinta: il leone dalla criniera autenticamente nera che viveva sull’altopiano dell’Atlante, nel Maghreb nordafricano.

Spazzato via, insieme alla sua storia millenaria. A lui pensavano i Romani quando dell’Africa dicevano: hic sunt leones.

Guardandolo negli occhi, mentre una giovane mamma faceva mettere in posa i bambini accanto al suo muso fiero, ho capito che i leoni siano dentro di noi. Non fuori. Proprio dentro.

Nei neuroni, nell’area di Wernicke e anche nei sogni.

L’archeologo Julien Monney scavò nella grotta di Chauvet e fu tra i primi a vedere le pitture vecchie di 36mila anni in cui i primi Europei dipinsero interi branchi di leoni europei.

Monney disse al regista Werner Herzog che dopo la sua prima visita nella grotta i leoni cominciarono a fargli visita di notte.

Monney non era più solo nelle ore che precedono l’alba e segnano il confine tra la ragione strumentale e il pensiero creativo. Attraversava i suoi labirinti più intimi in compagnia di un gruppo di leoni.

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