La nostra epoca è fatta di paradossi, almeno tanto quanto di storie acuminate e terribili che sembrano costeggiare sentieri senza una meta. L’estinzione ha una memoria e, anzi, soltanto quando è ormai registrata e classificata, la sua capacità intrinseca di produrre ricordi trova il suo acme. Quando tutto è ormai finito, ecco che le epoche storiche e paleo-storiche contenute nell’estinzione delle specie animali balzano in prima scena, svelando l’ironia della condizione umana. Ciò che è inghiottito nel Nulla prende le forme del trauma, delle ecologie distrutte, dell’ostaggio che attende riparazione e liberazione. Ma anche dell’antenato, pronto a presentarsi in nostro soccorso. I ricordi dell’estinzione delle specie animali che ci hanno preceduti ci tormentano tanto quanto i resti delle specie che abbiamo estinto noi. Eppure, alcuni di questi ricordi non nutrono un presente di autocommiserazione. Sono ombre che soffiano futuro sui nostri occhi. Questa è la coscienza storica dell’Antropocene. L’origine della sesta estinzione è anche la persistenza del ricordo.
Questa memoria estinta di organismi estinti è il flusso sanguigno del nostro mondo. Cerca interstizi attraverso cui intrufolarsi per definire e alimentare il ritmo e il battito del nostro cuore. Pensiamo a tutti i milioni di animali che abbiamo ucciso, in ogni continente. Pensiamo soprattutto a quelli che abbiamo massacrato lontano dalle coste della madrepatria, quando gli oceani hanno cominciato a significare davvero qualcosa per noi Europei. La digestione organica degli esseri viventi mangiati, allevati, cacciati ha un significato che travalica il metabolismo degli organismi pluricellulari. Assorbendo nei tessuti piante e animali abbiamo trasformato il nostro destino terrestre, vincolandolo all’estinzione altrui. La patria delle popolazioni animali (decine di migliaia) spazzate via per far posto alla modernità è diventata la nostra stessa patria. In questa prospettiva metabolica, la de-composizione della biosfera nelle mani delle civiltà umane assume un carattere extra-temporale. È, appunto, un destino, in cui tutte le epoche storiche della vita degli animali e degli ecosistemi selvatici entrano nel nostro presente. Questo destino non è escatologia, è storia. “Solo una temporalità autentica”, ha scritto Heidegger in Essere e Tempo, “rende possibile qualcosa come il destino, cioè una autentica storicità”. Per l’essere umano, quindi,“esistere nel modo del destino” significa “essere, nel fondo della sua esistenza, storico”. La storia è destino perché è Mondo.
L’estinzione ha una memoria perché sopravvive e resiste nei processi storici successivi. Parlando al GROPIUS BAU di Berlino delle conseguenze della violenza coloniale, la grande scrittrice etiope Maaza Mengiste ha – inconsapevolmente – fornito anche una descrizione della defaunazione.
“La terra è viva. Contiene così tanta storia (history). La terra parla (…) quando si deve entrare in contatto con ciò che è scomparso, il dolore non riesce mai a prendere una forma definitiva o a trovare una fine in una sorta di guarigione. Quando un corpo sparisce, il dolore può durare per generazioni”.
La memoria dell’estinzione custodita nella terra viva accomuna uomini e animali. Il trauma della specie ridotta a pochi esemplari è come una generazione che ancora cerca i corpi dei propri cari azzerati e ridotti in polvere da forze e mani sconosciute. Ovunque, gli animali che non ci sono più non lasciano il vuoto, ma un’ombra pesante e opprimente che ripete sempre le stesse, incomprensibili parole. Che noi si possa dire degli uomini e degli animali, nell’epoca post-coloniale, parole simili dimostra che il destino storico è solo uno. Il destino è mandato dalla Terra.
Questo è il messaggio che la paleogenetica consegna nelle nostre mani dal tempo profondo del Pleistocene (2.6 milioni di anni fa – 10mila anni fa), quando molto è stato deciso per noi e da noi. Il Pleistocene ci appartiene tanto quanto il XX secolo. Homo sapiens emerge nel Pleistocene, tra 250 e 200mila anni fa.
L’antico DNA nasconde le storie degli antenati. Le specie estinte del periodo glaciale, e degli interglaciali più caldi, sono antenati del nostro presente in estinzione. Gli eventi del Pleistocene, infatti, “hanno alterato gli habitat ovunque sul nostro Pianeta, portando cambiamenti nella disponibilità di risorse e, quindi, nella composizione ecologica delle comunità”. Anche la distribuzione attuale della biodiversità è stata decisa da questi rivolgimenti climatici lontanissimi. I vincoli evolutivi e i passaggi obbligati (“colli di bottiglia”) delle specie pleistoceniche sono diventati il campo di possibilità a disposizione delle specie oggi ridotte a pochi angoli della Terra. Non possiamo pretendere di fare ciò che vogliamo con le specie ereditate. Anche queste specie, oggi così preziose, hanno ereditato memorie estinte scritte nel patrimonio genetico. Gli antenati sono i co-attori della memoria dell’estinzione. Non importa se sono animali o umani.
“La data della comparsa dei primi animali segna un passaggio assolutamente speciale nella storia (history) della Terra. Perché anche noi siamo animali e quindi l’entrata in scena del primissimo animale è parte della storia (story) delle nostre origini”. Quando cerchiamo di ritrovare il nome degli antenati, il nostro vocabolario delle lingue scomparse si apre sempre sulla relazione filogenetica. L’orologio molecolare è il luogo di incontro tra gli antenati e le specie a noi familiari. Nella genetica di laboratorio, infatti, ciò che è ancestrale (e quindi ctonio) prende la forma antropocenica del nesso, del vincolo, della derivazione. Il cosiddetto orologio molecolare è una tecnica di comparazione genetica del DNA degli animali moderni. Più due specie sono distinte, più lontano è l’antenato comune e quindi più lunga è la storia evolutiva delle specie esaminate (il momento in cui ciascuna è diventata una specie distinta). Gli antenati sono l’architettura e la intelaiatura del mondo. Sono questi intrecci di legami filogenetici, che hanno un significato non da soli, ma soltanto gli uni con gli altri.
Secondo gli studi più recenti i primi mammiferi placentati (Plesiadapiformi), filogeneticamente correlati con il clade dei più antichi progenitori dei primati (Pan Primati), comparvero nel tardo Cretaceo (attorno ai 66 milioni di anni fa), prima dell’evento di estinzione di massa che cancellò i dinosauri terrestri. L’orologio molecolare ha fortemente confermato questa ipotesi costruita sui resti fossili (denti) giunti sino a noi (riportati alla luce in Montana, Stati Uniti). I reperti sono ricordi collettivi.
Oggi non si parla più soltanto di paleo-DNA (o antico-DNA). Si comincia a parlare anche di “deep-time DNA”. (DNA del tempo profondo): il materiale genetico di specie estinte estratto da campioni (denti, ossa, sedimenti racchiusi nel permafrost a latitudini elevate) risalenti a oltre 126mila anni fa. Il significato di queste ricerche travalica la paleontologia. È la premessa della storia globale, che per definizione è post-coloniale e post-capitalista. Nella storia globale non ci sono riserve speciali per gli animali e distretti economici su base razziale per gli esseri umani.
A cosa serve ricordare immaginando la storia globale? A porre le fondamenta di nuovi diritti e di giuste rivendicazioni. A mettere a tacere le scelte coloniali, cerando nuove opzioni. Finora, “il ricco assemblage di fossili del Pleistocene è stato strumentale per testare ipotesi sulla correlazione tra i cambiamenti ambientali di quel periodo geologico e le dinamiche che coinvolsero la biodiversità”. Gli antenati sono fatti di Terra. Ed è per questo che la terra è viva. Nelle riserve (le aree protette e i parchi nazionali del XXI secolo) gli antenati non possono entrare. Sono banditi dai loro stessi discendenti. Riportare indietro le interconnessioni tra clima, biodiversità geologia è indispensabile per mettere in discussione l’assunto della riserva come unica configurazione possibile per gli organismi selvaggi.
La paleo-genetica descrive la crisi di estinzione. Non solo perché spiega come avvennero alcuni processi evolutivi i cui effetti sono visibili ancora oggi; ma anche perché, collocando in un contesto storico-ecologico molto ampio queste stesse, ancestrali specie conferma che una politica di protezione della wildlife che non mantenga i meccanismi evolutivi fondamentali del fenomeno biologico non può reggere. E nessuna riserva può mantenere una simile promessa. Questa verità essenziale (la speciazione) la raccontano le storie degli antenati. Sono scenari maestosi.
“La speciazione non è sempre semplicemente un processo di cladogenesi (NB, evoluzione “a rami”: da una specie ancestrale, o da un gruppo iniziale, si originano altre specie o anche interi altri gruppi che in seguito si evolvono indipendentemente) seguito dall’isolamento riproduttivo. Al contrario, le informazioni recenti e i dati paleogenomici hanno mostrano che la ibridazione tra specie è sorprendentemente comune e forse innescata, almeno in parte, dalla ripetuta ridistribuzione degli habitat associata ai cicli glaciali. Ad esempio, gli orsi bruni e gli orsi polari si ibridarono durante le fasi glaciali ed anche durante i periodi interglaciali, tanto quanto è accaduto in epoca moderna. Non troppo tempo fa gli antichi genomi di un orso polare e di un orso delle caverne (datato a 360mila anni fa) hanno rivelato che tutti gli orsi bruni viventi oggi hanno ereditato una parte del loro patrimonio genetico ancestrale da un apporto genetico (admixture) proveniente da questi altri orsi (il polare e quello delle caverne, estinto). Questi sono eventi di portata evolutiva che sarebbero rimasti per sempre invisibili senza la paleo-genomica.”
Il DNA più antico può svelare i dettagli dell’evoluzione di una intera specie.
Infatti, “genomi molto antichi (deep time), pur essendo sotto il profilo tassonomico molto diversi, potrebbero gettar luce sui tempi, la velocità e l’estensione degli episodi di introgressione genetica (NB, i geni di una specie distinta vengono “assorbiti” in una specie che ha finora seguito una altra strada) e, quindi, sulla loro rilevanza nel processo evolutivo”.
Le specie estinte spiegherebbero le caratteristiche genetiche dei grandi carnivori dell’Antropocene, e perché essi dipendono interamente, e tragicamente, dagli habitat in rapida trasformazione sferzati dall’alterazione dei pattern climatici e impoveriti dalla defaunazione. “I dati paleo-genomci delle specie estinte durante il Primo (2.6 milioni di anni fa) e il Medio Pleistocene (780mila – 126mila anni fa) – ad esempio, la iena dal muso corto, i giaguari europei e gli enigmatici canidi della famiglia degli Xenocioni – aggiungerebbero dettagli cruciali su questi taxa che hanno contribuito al corredo genetico dei carnivori attuali”.
“I passi avanti nella ricerca paleogenomica del tempo profondo (deep time) rende anche possibile ricostruire intere comunità ecologiche di epoche lontanissime (…) il DNA ancestrale (deep time) dedotto dai sedimenti rivela anche la connettività tra popolazioni animali, come ad esempio indica uno studio recente attorno al DNA del Tardo Pleistocene campionato in una caverna in Messico, che collega una popolazione estinta di orsi neri alle attuali popolazioni di orsi neri nel Nord America orientale”.
Le memorie di estinzione sono dunque collettive, attraversano senza barriere le specie animali e la specie umana, ed è per questo che hanno un valore politico. Eppure, qui ricordare non cristallizza lo status quo, crea invece le fondamenta di un cambiamento (“sense-making”). Gli antenati custodiscono i ricordi perché proteggono il futuro. Per questo le ricerche paleontologiche dovrebbero essere interpretate e lette con la stessa disponibilità che riserviamo alla memoria culturale dei popoli, “sempre pronta a prendere fuoco nel presente”, perché si nutre di qualcosa che passa da una generazione all’altra. Gli antenati della biodiversità globale (compresi noi, visto che siamo una specie del Pleistocene) non si accontentano del modo sbrigativo in cui noi Europei abbiamo liquidato la nozione di antenato a cosmologie superate o anacronistiche. Queste forme di vita trapassate nella evoluzione degli animali moderni, a noi familiari, e nella esperienza storica presente di Homo sapiens, riscrivono il copione al posto nostro, visto che non abbiamo il coraggio di ricordare tutto. Gli antenati sono il senso che cerchiamo nella nostra epoca. Sono l’aiuto che speriamo dal Pianeta. Sono il Pianeta stesso.
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