



Kgalagadi Transfrontier Park. Un nome che è una leggenda per chiunque ami l’Africa selvaggia. Ci sono stata nel 2018. Una delle regioni più aspre del continente africano, che si estende tra il Sudafrica del Nord e il Botswana meridionale.
Il Kgalagadi è di fatto una porzione del deserto del Kalahari. Molto meno conosciuto rispetto al Kruger, ha una importanza ancora maggiore per la sopravvivenza del leone africano. Perché ha più leoni (circa 500) e perché questi leoni possono spostarsi liberamente verso nord, nel centro del Botswana. Garantendo così il flusso di geni tra popolazioni distinte.
La spedizione aveva l’obiettivo di verificare sul campo ciò che gli studi più recenti di genetica molecolare – e le mie ricerche di archivio sui taccuini di esploratori e tassononomisti della tarda Età Vittoriana – ci dicono sulla biogeografia del leone africano.
E in particolare sul leone criniera nera del Kalahari, che si muove da millenni anche nel Kgalagadi.
Questi leoni hanno home range più vasti dei loro cugini delle savane dell’Africa orientale, sono più resistenti e vivono in gruppi familiari più piccoli. E’ il risultato di una adattamento genetico eccezionale ad un ambiente arido, ostile e imprevedibile.
Ne è nato un vastissimo reportage, il primo di questo genere in Italia, che LA STAMPA ha pubblicato in 3 puntate: L’ultima frontiera dell’Africa selvaggia: sulle tracce dei leoni del Kalahari (8 ottobre 2018); Il nuovo Sudafrica della !Xaus Community. La solitudine dell’estinzione (15 ottobre 2018); Polentswa, Botswana. Racconti di leoni attorno al fuoco (22 ottobre 2018).
Le note da campo della spedizione, raccolte giorno per giorno, le trovi qui, su Tracking Extinction.