Home » Kgalagadi » “Eppure, l’uomo soltanto può l’impossibile”

Salire là dove tutto è cominciato. Questo è il sentimento delle due ore di tragitto che conducono dal Nossob Gate a Polentswa. Sopra la sabbia la savana piatta e gialla torna a dar forma all’orizzonte. Nelle valli immense del corso del Nossob, superando Kwang, Bedinkt e Langklaas, lo spazio dei predatori di vertice acquista un significato. La poesia si trasforma nel paesaggio. E viceversa. “Eppure l’uomo soltanto può l’impossibile”, scriveva Goethe.

Nelle conservation area estese quanto il Kgalagadi i leoni sono costretti ad avere range molto più ampi (fino a 1000 Kmq) e pride più piccoli. Il Kalahari, in qualche modo, riesce a sottomettere anche il suo imperatore. I leoni criniera nera qui sono rarefatti e remoti, isolati e autosufficienti.

Puri combattenti contro le minacce che li estingueranno. I leoni svaniranno, come i cespugli dalla savana. Non c’è nulla che li possa descrivere se non loro stessi. Per questo se ne andranno con onore. La loro assenza comincia ad assomigliare ad una strana malinconia, che ha il profilo dell’orizzonte. Ecco un altra risposta alla dissonante domanda: che cosa è la sesta estinzione di massa?

Qui il Botswana è sferzato dal gelo invernale. Le pozze artificiali sono scure e solitarie. Le ombre si allungano sulla savana come dita di spiriti antichi, e il giallo ambra dell’erba assorbe la luce fino ad una inconcepibile contrazione di pigmenti luminosi. 

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Una grande acacia, subito dopo Kousant, segna la svolta a destra per Polentswa. Qui la solitudine sembra assoluta. Folle di animali, di iene e di leoni, di leopardi e di ghepardi, affollano l’immaginazione, tanto il desiderio di vederli è deformato dalla nudità del presente.

Da qui in poi, in un tratto di savana a cespugli radi e bassi, il paesaggio sprigiona qualcosa di bellissimo e di spietato. Una famiglia di otocioni spunta dal nulla e corre via spaventata dal motore.

E’ cominciata la salita verso Polentswa Ta Shebube, una morbida collina sopra un pan piatto e monotono come un lago preistorico prosciugato.

Polentswa: il punto di avvistamento a cui l’impero, il Kgalagadi stesso, ha affidato il compito di accendere il fuoco del coraggio e della verità.

Come fu per i fuochi che annunciarono la resa di Troia, accesi in sequenza sulle colline della costa asiatica sino alla rocca di Micene.

Il fuoco di Polentwsa avrà cose spietate da dire.

Gli ultimi chilometri sono in pendenza, e procediamo a venti all’ora. La pista è segnata al centro da una dorsale di sabbia compatta che rischia di intrappolare il nostro suv.

Superiamo l’area per il camping dove le leonesse vanno e vengono, fotografate sulle mappe del Kgalagadi. L’erba è alta quasi quanto un uomo, gli steli sottili come graminacee giganti.

E poi, ecco, sulla sinistra, l’enorme pan di Polentswa. Una isola gialla su un lago più scuro, al centro di una pianura salata piatta e incontaminata.

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Guardo il pan e l’isola gialla dalla terrazza in legno del campo tendato. Presto accenderanno il fuoco, e avrò agio di scambiare racconti di animali con gli altri ospiti. Erik, un fotografo professionista di Pretoria, e un suo amico e collaboratore in questa spedizione, lo scrittore svedese, esperto di specie avicole e Canon ambassador nel 2014, Brutus Östling. La moglie di Brutus, e Mpho Steven Kaneli, il direttore di Polentswa. Siamo in pochi e a questa strana riunione sul futuro parteciperanno anche le tre persone dello staff di Kaneli. 

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E’ come se qui la distanza del tempo e dello spazio avesse licenza di manifestarsi e soprattutto di attraversarsi. Come se ci attraversasse tutto ciò che ci ha preceduti e ci ha resi possibili come esseri viventi qui ed ora.

Goethe lo descrisse così: “Anima del mondo, vieni, spingiti dentro di noi e attraversaci ! (Weltseele komm uns zu druchdringen !).

Molte persone accusano i conservazionisti più tenaci di ambire ad un ritorno impossibile ad una età wild ormai perduta. Queste persone si sbagliano. Una coscienza radicale del tempo ormai trascorso non ammette nessun primitivismo utopico.

Una coscienza vera del collasso biologico ammette solo il principio responsabilità. Non sa che farsene delle utopie. Le rifugge. Le deride.

La constatazione dello stato delle cose ci obbliga invece a considerare il tipo di pressioni evolutive che plasmarono la nostra immaginazione. Spingendoci infine dentro la nostra ultima collocazione tassonomica, Homo sapiens sapiens.

La nostra specie si è evoluta in sincrono con le altre specie e con lo spazio immenso e ostile che gli antenati hanno dovuto conoscere e interpretare per spingersi oltre, e per sopravvivere.

Come dice Andréas Lang “lo spazio non è una area attrezzata per lo sfruttamento o la ricreazione, per le vacanze o le attività all’aperto”. 

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La frugalità ontologica della wilderness ha reso possibile il pensare, l’imparare a pensare.

Le savane gialle e sabbiose di Polentswa non ispirano nessun primitivismo. Non fanno politica. Producono invece la vita. La pongono come problema di cui occuparsi. Dentro lo spirito, dentro la nostra vita.

La ricchissima desolazione del pan a forma di isola davanti a me, in una attesa ferma di qualcosa che pur dovrà accadere, per me come per gli animali. Il richiamo che proviene dal pan, ammorbidito dal vento, questo richiamo che è una invocazione bagnata di tenerezza e disperazione. Disperazione per questi ultimi 500 leoni del Kalahari che non possono contare su nessun benpensante innamorato della crescita economica.

Tutto questo, qui, mi dice: c’erano altre opzioni, ma noi Europei abbiamo scelto di arrivare qui in queste condizioni.

È stata una scelta e di questo dobbiamo prenderci sulle spalle tutto l’onere. Ed è per capire tutto questo che vale la pena visitare il Kgalagadi.

(Nota: il titolo è un verso di Goethe dalla poesia Das Goettliche, Il Divino)

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MONDO ED ESTINZIONE

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