Il nuovo landscape globale di particolati e microplastica

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Respiriamo un aerosol di particolati e plastiche. Perché viviamo ormai immersi in un nuovo landscape fatto di nanoparticelle. Un aerosol di particolati costruiti dall’uomo nei processi industriali che hanno reso il nostro ambiente, non importa se rurale o urbano, un contesto di “esposizione totale” a micro-materiali i cui effetti sugli organismi viventi sono in larga misura sconosciuti.

Questo particolato non è composto, infatti, solo dagli scarti di combustione dei combustibili fossili (i cosiddetti Pm), ma ormai anche da microplastiche.

“La natura ubiqua delle microplastiche – le particelle plastiche con un diametro inferiore a 5 micron, che includono anche le nanoplastiche con diametro inferiore a 1 micron – nella biosfera globale rende sempre più consistenti le preoccupazioni per le loro implicazioni sulla salute umana”, avverte uno studio di sintesi appena uscito su SCIENCE (Toxicology: Microplastics and Human Health). 

Le microplastiche sono infatti parte della nostra vita quotidiana, per il semplice motivo che “un crescente numero di evidenze suggerisce che l’esposizione diffusa alle microplastiche provenga dal cibo, dall’acqua potabile e dall’aria”. L’acqua contenuta nelle bottiglie di plastica di uso comune ne contiene concentrazioni “tra 0 e 104 particelle/litro”. Una evidenza che era già stata annunciata e denunciata dalla WHO nel 2019. 

Quantità ancora maggiori ci sono nel cibo che è stato a contatto con contenitori di plastica (il propilene è uno dei componenti plastici maggiormente sotto accusa).

A causa dei processi infiammatori innescati dalle particelle plastiche all’interno delle cellule dei tessuti umani, è stata individuata una correlazione con patologie ai polmoni, come fribosi e stati allergici, nei lavoratori del settore tessile, che toccano e lavorano grandi quantità di fibre sintetiche. Queste persone sono “esposte ad una polvere di fibre di plastica”. 

Ma la nube tossica è moto più insidiosa e, invisibile, non coinvolge soltanto categorie di operai a bassa paga nelle industrie del fast fashion, il cui compito è vestire una popolazione umana in continua espansione demografica. “Le particelle di plastica sono una componente rilevante della polvere sottile che, ad esempio, ha un tasso di deposizione nel centro di Londra che si assesta tra 575 e 1008 microplastiche per metro quadrato al giorno”, riferisce questo report di SCIENCE. 

Una constatazione inquietante, che va ad assommarsi a studi anch’essi recenti, pubblicati lo scorso giugno, sull’ovest americano, negli Stati Uniti, in cui un vero e proprio vento denso di microplastiche deposita su 11 remoti parchi nazionali considerati “pure wilderness”, che includono il Grand Canyon e lo Joshua Tree National Park, qualcosa come 1000 tonnellate di plastica microscopica ogni anno. 

“Fino a un quarto dei micro pezzi di plastica – che provengono da tappeti, abbigliamento e anche vernice in spray – può finire nelle tempeste che passano sopra le città, mentre il resto viene probabilmente da località ancora più lontane. I risultati, che per per la prima volta considerano separatamente l’origine geografica, si aggiungono alla montante evidenza che questo tipo di inquinamento da microplastica è ormai globale e comune”.

Abbiamo creato qualcosa che non se ne andrà, sostiene Janice Brahaney, la bio-geo-chimica della Utah State University che ha condotto lo studio. Adesso sta circolando attorno al mondo”.  Ogni giorno arrivano su ogni metro quadrato di terre selvagge 132 pezzi di microplastica. A fine anno si arriva alla cifra simbolo equivalente di 300 milioni di bottigliette di acqua in plastica. Si ritiene che una situazione analoga affligga i Pirenei e l’Artico.  

Un altro problema, correlato a questo, è il fumo tossico ricco di plastica, contaminanti chimici e agenti patogeni (microbi) che si sprigiona in regioni con mega-incendi divenuti ormai parte dei pattern climatici locali, come in California e in Australia a partire dal 2019. 

Essendo le plastiche materiali relativamente recenti non esistono ancora studi abbastanza approfonditi, e cioè fissati su serie abbastanza lunghe di dati, da fornirci un quadro epidemiologico preciso e nitido sui loro effetti bio-tossici. Per ora sappiamo che le microplastiche possono oltrepassare la barriera placentare ed essere metabolizzate fino a finire nelle feci di animali ed esseri umani.

Secondo gli autori, è molto utile un confronto con i particolati da combustione perché queste due tipologie di nano-materiali presentano “somiglianze fisico-chimiche, come ad esempio una bassa solubilità, una alta persistenza, un ampio spettro di misure e una natura chimica complessa”.

“Le particelle piccole (meno di 2.5 micron), come quelle da combustione di benzina diesel, sono capaci di superare la membrana cellulare e di innescare stress ossidativo e infiammazione e sono state associate a un rischio maggiore di morte per malattie cardiovascolari e patologie respiratorie, come il cancro del polmone”.

È indispensabile potenziale dunque al massimo la ricerca scientifica orientata a capire “l’abilità delle microplastiche di varcare la barriera epiteliale delle vie aeree, il tratto gastrointestinale, e anche la pelle”. 

I rischi globali coinvolgono anche le acque oceaniche. Le microplastiche, infatti, possono agire come “vettori di tossicità micro-biologica”, ossia come trasportatori di batteri opportunistici e potenzialmente patogeni che si attaccano sulla superficie plastica in galleggiamento formando un film (il cosiddetto “biocorona”) e viaggiando così ovunque.

Come per una infinità di altre questioni ambientali, anche sulle microplastiche la verità è che abbiamo a che fare con un problema che ci è già ampiamente sfuggito di mano. L’inerzia globale sulla messa al bando di quanta più plastica possibile con investimenti shock sulle bioplastiche rende molto arduo, ad oggi, pensare ad un inquadramento adeguato di questo inquinamento tanto più subdolo quanto più invisibile. Per ora. 

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