Un team di ricercatori della University of Queensland, Australia (School of Earth and Environmental Sciences ) ha pubblicato su Nature una mappa aggiornata delle ultime aree selvagge del Pianeta: “last of the wild”. Gli autori avvertono che c’è “un urgente bisogno di rendersi conto che questi posti non sono sostituibili” nel sistema biologico che chiamano Terra. L’ultima Africa davvero selvaggia. Anche questa Africa è stata mappata nello studio.
James Allan, tra gli autori, conferma che il Kgalagadi Transfrontier Park (Sudafrica/Botswana) ha il posto d’onore in questa lista per quanto riguarda la wilderness africana: “il Kgalagadi è incluso nella nostra mappa Last Of the Wild, insieme al delta dell’Okavango in Botswana. Sulla base del nostro studio, direi certamente ch questo tipo di aree ha la struttura di megariserve. E cioè gli ultimi grandi territori completamente wild che supportano le grandi faune africane.
Dovrebbe essere fatto ogni sforzo per mantenerle libere da attività industriali e dall’uso umano su larga scala. Naturalmente non stiamo parlando dei boscimani del Kgalagadi e della loro del tutto unica biocultura. Un altro punto molto importante è la qualità di una area protetta. Il Kgalagadi ha una impronta umana molto bassa ed è perciò titolato ad essere definito wilderness molto meglio di altre aree pur protette“.
( mappa di inizio Novecento – il Kgalagadi National Park è qui chiamato ancora Kalahari Gemsbok National Park )
Negli ultimi venti anni abbiamo perso un decimo di tutte le zone wild del globo: circa 3,3 milioni di Kmq. Lo studio di Allan e dei colleghi sottolinea è il significato eco-culturale della wilderness.
“Molti servizi ecosistemici derivano dai territori che possiamo definire wilderness e sono un risultato diretto della loro estensione geografica, che permette loro di funzionare come sistemi auto-organizzati”.
E’ la wilderness che “supporta gli ultimi, intatti gruppi di popolazioni di faune di grandi dimensioni, specie con uno home range ampio e che migrano: è per questo che i territori wild sono gli ultimi posti sulla Terra dove gli scienziati possono studiare la biodiversità e i processi naturali indipendentemente dalla moderna società umana”.
Soltanto nella wilderness possiamo farci una idea completa dei meccanismi basici della vita sul nostro Pianeta. Ed è solo qui che esistono ancora culture umane – come i San del Kgalagadi – che vivono secondo “profondi legami bioculturali” con gli ecosistemi, una alternativa radicale al modello occidentale che ha preso il sopravvento a partire dal XVI secolo dell’era moderna.
Per questo, usando una compilazione aggiornata della pressione umana sull’ambiente, il team di Allan ha proposto una rivisitazione delle aree attualmente protette con lo scopo di includere più wilderness nei processi decisionali della World Heritage Convention, la convenzione delle Nazioni Unite che designa gli habitat naturali più rilevanti della Terra. Un discorso che vale anche per gli oceani e la loro “ocean wilderness“.
Purtroppo, troppi giornali in aggiunta ai social media spendono la maggior parte dell’attenzione sui soli parchi nazionali più noti rispetto alla remota wilderness. “A dispetto del valore ambientale, ecologico e bio-culturale ben documentato delle aree wilderness, queste stesse aree non sono state considerate come una priorità della conservazione e ancora manca un riconoscimento esplicito e sistematico della loro importanza in forti accordi multilaterali sull’ambiente come ad esempio la Convention on Biological Diversity o la World Heritage Convention”.
La proposta del paper è di rafforzare l’importanza della wilderness nel discorso complessivo sulla biodiversità del Pianeta, in termini sia quantitativi che qualitativi. E quindi il ruolo che gli spazi ancora intatti hanno come luoghi “di assoluto valore universale” (oustanding universal value, nel lessico UNESCO). Non è infatti scontato e neppure automatico che un tratto di savana o di foresta tropicale sia wild, anche se è giuridicamente protetto.
“Non tutte le aree protette pur essendo protette sono in condizioni abbastanza buone o sufficientemente estese per avere ancora le funzioni ecologiche naturali di una wilderness. Credo che i mega parchi come il Kgalagadi – conclude Allan – siano importanti per l’Africa, proprio per i grandi mammiferi che li abitano.
Ma bisogna stare attenti a usare la parola ‘primordiale’ per spiegare che cosa vuol dire wilderness. Ha un significato soggettivo e a molti non piace. Meglio dire ‘ecologicamente intatto’ o ‘in buone condizioni ecologiche’”.
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