
E’ stata resa pubblica la maggiore investigazione mai tentata finora sull’allevamento in cattività di leoni in Sudafrica: The Extinction Business. A raccogliere informazioni e dati la organizzazione non governativa BAN – Animal Trading. Ecco la mia intervista a Smaragda Louw di BAN. In Sudafrica l’estinzione è un business. Ossia: sfruttare biologicamente specie in pericolo.
Oggi il Sudafrica può esportare legalmente 1500 scheletri di leoni. Cosa è cambiato rispetto al recente passato?
I leoni africani sono listati in CITES Appendix II. Una nota aggiunta alla classificazione CITES durante la COP17 di Johannesburg (2016) permette il commercio dal Sudafrica di parti del corpo di leoni allevati, soggetti ad una quota definita dal Dipartimento degli Affari Ambientali (DEA).
La nota è criticabile, perché cerca di regolare una industria indecente che non dovrebbe essere riconosciuta nemmeno in prima battuta. È importante dire l’ovvio: il Sudafrica non è obbligato a vendere ossa di leone da un accordo multilaterale come il CITES.
Tutte le informazioni che abbiamo sulle esportazioni di ossa e scheletri provengono dal database CITES sul commercio. Durante gli anni 2005-2014, questo database indicò il numero totale di leoni che erano stati esportati legalmente dalla RSA (Repubblica Sudafricana). Questo numero era 19.666.
Ci sono approssimativamente 250 ossa in uno scheletro di leone. Perciò, il numero di ossa che sarebbero state esportate dalla RSA conformemente alla quota proposta è 200.000. Si tratta di una mera stima, certo, ma è chiaro che la quota proposta (di 1500, ndr) ha il potenziale di eccedere il numero di leoni esportati dal RSA durante i 9 anni del periodo considerato (2004-2014).
La quota proposta dal DEA si riferisce a scheletri completi di leoni, e quindi queste cifre illustrano la disparità tra la quota proposta adesso e le pratiche degli anni passati.

Ho letto sul magazine AGRISA.CO.ZA e su PROPERTY24.COM che i cambiamenti climatici stanno spingendo sempre più allevatori di bestiame a convertire i loro ranch in game farm.
Ritieni che il business dell’estinzione che descrivete nella vostra investigazione possa essere, da qualche punto di vista, una conseguenza del cambiamento climatico?
Una conseguenza terrificante, certo, ma un passaggio di livello nello sfruttamento biopolitico delle risorse naturali e viventi.
Non credo che il cambiamento climatico abbia niente a che vedere con la proliferazione delle wildlife farm. Il Sudafrica è una destinazione per i cacciatori, e la maggior parte, se non tutte le wildlife farm, offrono la possibilità di cacciare gli animali allevati.
Un esempio sono le giraffe. La giraffa è in estinzione in Africa, ma non in Sudafrica. La ragione, tuttavia, è duplice: l’esportazione di giraffe verso la Cina ha raggiunto letteralmente proporzioni epiche in Sudafrica, dove più di 500 giraffe sono state spedite negli zoo cinesi.
La caccia alla giraffa in Sudafrica è molto popolare tra i cacciatori stranieri. L’allevamento di specie selvatiche è semplicemente una forma di avidità e non c’entra con la conservazione.
(Tiger in captivity at Brian Boswell’s Zoo – Natal Zoological Garden. Esporta in tutto il mondo).
L’allevamento di leoni e tigri è molto lucrativo, visto che uno scheletro di leone può essere venduto per 100 milioni di RAND. Questo è il fattore trainante. Lo sviluppo dell’industria dell’allevamento del leone non può essere spiegata con la logica, la scienza, la cultura o la moralità. È una peculiarità storica.
(Credits: EMS Foundation)
In una prima fase si è sviluppata l’industria dei leoni allevati per essere cacciati (canned lions).
Cacciatori benestanti, soprattutto americani, venivano qui per cacciare i leoni. Si trattava di leoni non selvaggi perché quelli selvaggi erano troppo pochi per essere abbattuti e una simile caccia sarebbe risultata troppo costosa e pericolosa per la maggior parte dei cacciatori americani.
Per rifornire gli americani, servivano schemi di rifornimento di leoni più a buon mercato ed è così che nacque l’industria dei leoni allevati, che col tempo divenne una caratteristica unica del Sudafrica. I cacciatori americani venivano a frotte in Sudafrica per abbattere col fucile leoni indifesi.
Poi, ne esportavano le spoglie come trofei negli USA. In seguito la legislazione americana ha bandito l’importazione di trofei di questo tipo. Il risultato fu un forte declino dell’industria del ‘canned hunting’ e quindi una inaspettata, eccessiva disponibilità di leoni nati in cattività.
Serviva un nuovo mercato e fu trovato nell’esportazione di ossa verso i Paesi del sud est Asia.

Per coprire l’industria con un alone di rispettabilità, le strutture per l’allevamento dei leoni vennero spacciate al pubblico come istituzioni per l’educazione, devote alla cura dei piccoli, alle passeggiate con i leoni e anche come luoghi per feste esotiche.
Quello che il pubblico non sospetta né sa è che questi leoni, allattati con il biberon e trattati come animali da compagnia, saranno macellati, come vacche, una volta adulti, per un solo scopo, arrivare alle loro ossa.
L’industria è basata su di una rappresentazione fallace e sulla frode dall’inizio alla fine. Non può essere giustificata se non con l’avidità. Mente al pubblico e ne sfrutta i sentimenti per indurli a spendere soldi per coccolare i piccoli di leone e camminare con loro, senza dire una parola sul fatto che la destinazione finale di quei leoni è una bevanda ritenuta magica bevuta da uomini a migliaia di chilometri di distanza.
(Shared on Social Media – Source not sure, maybe UKULULA Facility)
Ciò che emerge qui è un Paese avvolto nelle ombre. Il turismo è una fonte di orgoglio e guadagno, un business con tutti i crismi che sostiene la conservazione e una certa idea di nazione.
Ma queste strutture che allevano leoni parlano di qualcosa di diverso. Come possono coesistere queste due tendenze? In che modo il Sudafrica si confronta con il proprio patrimonio naturalistico ?
L’allevamento della wildlife, l’esportazione di questi animali magnifici e il sistema di permessi provinciale, nonché quello CITES, e i loro procedimenti, hanno elementi di segretezza e sono altamente fallati. Hai ragione, questo Paese è avvolto in ombre create da coloro che sono responsabili della conservazione.
Subito dopo la pubblicazione della nostra indagine – The Extinction Business – il Parlamento ha convocato una interrogazione sul captive breding dei leoni destinati alla caccia, su come esso stia compromettendo il ‘brand’ del Sudafrica.
È chiaro che la questione del danno al brand nazionale apre un contenzioso, e mentre alla maggior parte delle organizzazioni di caccia è stato chiesto di presenziare alla interrogazione, hanno avuto l’opportunità di partecipare soltanto tre organizzazioni che parlano per il rispetto dei diritti degli animali: BAN – Ban Animal Trading South Africa, EMS Foundation and Born Free.
Una nuova pubblicazione questa settimana, che segue un paper in peer-review condotto dal South African Institute of International Affairs, rivela che il la riproduzione in cattività dei predatori (leoni, tigri, puma) potrebbe costare al Sudafrica 54 milioni di RAND nel prossimo decennio (oltre 3 miliardi di euro).

C’è uno tsunami di critiche domestiche ed internazionali contro il Sudafrica. Molti soggetti impegnati nella conservazione, ricercatori che studiano il leone ed NGO, affermano che il supporto incondizionato del governo a questa industria distruttiva non può avere basi scientifiche, o trovare ragioni in una prospettiva etica, di turismo o del benessere degli animali.
Il commercio di ossa di leoni del DEA danneggia il brand Sudafrica e anche il turismo. Molte persone fanno affidamento su di un impiego fisso nel turismo. La loro vita è sulla linea di fuoco, e questo per favorire una elite predatoria che commercia in ossa.
Il turismo stesso è un asset nazionale.
Il Sudafrica fronteggia una marea di pubblicità negativa a causa della sua compromissione con questo commercio scioccante. I turisti sceglieranno di spendere altrove i loro soldi. Ci opponiamo fermamente a ogni commercio di ossa di leoni allevati.
La reputazione di responsabilità del Sudafrica nella conservazione delle sue popolazioni di specie wild in pericolo o minacciate è stata irreparabilmente danneggiata.

Su di un piano culturale, che cosa è il leone per il Sudafrica? Pensi che ci siano differenze nel modo in cui i differenti gruppi etnici della Repubblica considerano questa questione?
Il leone è il simbolo dell’Africa e per la maggior parte delle persone è ripugnante assistere a questa commercializzazione, dell’allevamento e del macello. Ti chiedo di guardare questo video.

Avete riscontrato che la legislazione in vigore della CITES ha delle falle ed è incompleta. Non basta per arginare e definire questo commercio. Sembra che la cornice giuridica della conservazione non riesca a fare il punto sul tipo di sfruttamento che questo business comporta.
Si tratta di qualcosa di biopolitico: “fare di animali vivi materiale grezzo da profitto”. Pensi che il destino del leone in Sudafrica mostri un problema di questo tipo?
La cornice giuridica della conservazione in Sudafrica è spezzata.
Il Dipartimento degli Affari Ambientali ha devoluto molte delle sue responsabilità, come ad esempio il rilascio dei permessi CITES alle province. E alcune province non implementano la legislazione nazionale che offre una sorta di protezione più alta agli animali.
Il contesto giuridico in Sudafrica è la ragione vera per cui il benessere degli animali nelle strutture per il captive breeding è compromessa, poiché la responsabilità legale cade nelle crepe del sistema mentre i diversi dipartimenti governativi tentano di provare il loro ruolo.
Non solo il destino del leone africano è in pericolo, ma tutte le specie selvatiche (wildlife) in Sudafrica corrono il rischio dell’estinzione se la legge non rimetterà mano urgentemente ai propri parametri.

Nel vostro Rapporto si legge che il governo ha una “ideologia sull’animale selvaggio e il suo uso sostenibile”: puoi dirmi di più su questo atteggiamento? A tuo parere, perché il governo include questo sfruttamento nella green economy?
Il governo del Sudafrica non ha offerto nessuna definizione o spiegazione della sua idea di ‘uso sostenibile’. Come il governo possa mettere in correlazione un indefinito uso sostenibile e la green economy, è difficile da capire in termini logici.
Chiaramente, il governo crede che l’industria crei posti di lavoro e porti valuta straniera, ma questa è una rappresentazione del tutto fuorviante.
Non soltanto i volontari si aspettano di pagare per avere un ruolo nella cosiddetta conservazione lavorando negli allevamenti (sottraendo anche lavoro alla gente del posto), ma la nostra indagine mostra che i commercianti dichiarano il valore degli scheletri come beni tassabili per l’esportazione e ogni cosa è firmata dalla DEA.
(Photo Credit: Smaragda Louw)
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