Home » Europa » Il nesso tra design e paleontologia

Ci sono incontri inaspettati che acuiscono la prospettiva su un’epoca. Incontri che spuntano come elementi eccentrici di un tempo, il nostro, che pullula di meta-oggetti sempre più invischiati nella complessità ecologica dell’Antropocene. Il nesso tra design e paleontologia è una tendenza culturale vigorosa, che ci dice quanto la natura morta, sublimata, artificiale sia diventata una cosa sola con la natura scientifica descritta e classificata. Anche questo è Antropocene.

E anche questo ci parla della solitudine di Homo sapiens sul suo stesso Pianeta.

In un incontro di questo tipo mi sono imbattuta ieri, a Milano, mentre passeggiavo in via San Marco. D’improvviso è entrato nel mio campo visivo un animale sconosciuto, sospeso ad un paio di metri dal bordo del marciapiedi, vivo, eppure immobile dietro il vetro di una delle vetrine di Cambi, rinomata casa d’aste la cui sede milanese sta, appunto, in via San Marco 22.

La lunga coda, sollevata in tensione per bilanciare il movimento del corpo, tradiva la natura della bestia. Un dinosauro lungo almeno un paio di metri, un animale ormai fatto soltanto di ossa, che in un batter d’occhio riusciva però a risucchiare il brulichio della strada nel vortice ipnotizzante del tempo profondo, il tempo della storia evolutiva del Pianeta. 

Simili effetti scenici sono di solito possibili nei musei di storia naturale. I reperti fossili, opportunamente esposti, trascinano i visitatori nel magnetismo del tempo geologico, che ci sfugge, ci seduce e ci fa anche paura. Qui c’era qualcosa d’altro. Lo scontro, lo stridore, lo shock del XXI secolo che recupera una specie estinta, la reinterpreta e le assegna così un nuovo ruolo. Le assegna una nuova bellezza. 

L’animale è un esemplare rarissimo di Othnielosaurus, un onnivoro proveniente dal famosissimo bacino Morrison del Wyoming, negli Stati Uniti, e risalente al Giurassico, mi spiega Jacopo Briano, esperto SFEP in Paleontologia e Storia Naturale per Cambi. Il bacino Morrison è un luogo privilegiato per i fossili dei grandi rettili del Giurassico. É uno strato sedimentario che copre una porzione dell’America del Nord dal Montana al New Mexico e che si formò tra i 148 e i 155 milioni di anni fa.

Il rettile sarà messo all’asta il prossimo 25 febbraio, insieme ad un nutrito gruppo di “mirabilia” , ossia di oggetti, alcuni contenenti anche animali come locuste, farfalle, uccelli, serpenti, spugne, denti, tutti inerenti alla scienze naturali. Una collezione di still life, di natura morta, di materiale organico inerte, silenzioso. 

Questo Othnielosaurus “è un esemplare molto raro, conosciamo la specie solo per resti frammentari. Era una specie che viveva in un ambiente lacustre. La sua particolarità è la struttura ossea interna dell’occhio che sosteneva il bulbo oculare. Questo conferisce al reperto una sorta di sguardo molto realistico. Lo scheletro è stato preparato da un azienda italiana di Trieste specializzata in ricostruzioni molto veritiere, con un effetto quasi drammatico”.

Un effetto dirompente, considerato che il solo guardare questo rettile dalla vetrina dà l’impressione che il Giurassico entri dentro l’Antropocene, costringendo due epoche lontanissime a fissarsi e a confrontarsi.

Ma chi è disposto a comprare uno scheletro di dinosauro e a metterselo in casa? “collezionisti privati, che collezionano anche arte contemporanea, e che sono proprio alla ricerca di opere ed oggetti che si compromettano a vicenda, che si mischino. È un mercato molto fiorente a Parigi e a Londra. Lo scorso ottobre, a Parigi, un collezionista ha comprato due dinosauri da disporre in mezzo a suppellettili artistiche in stile classico, nella sua villa”. 

Sembra quasi che chi è appassionato di arte contemporanea abbia un po’ anche il gusto delle Wunderkammer, cioè delle “camere delle meraviglie”, quelle collezioni di oggetti naturalistici che nel XVII secolo furono antesignane dei musei di storia naturale ed ebbero un ruolo nel crescente interesse scientifico per la catalogazione e lo studio della natura. “Sì, è così, ed è il motivo per cui abbiamo deciso di intitolare Mirabilia l’asta del 25 febbraio”.

“Da una decina d’anni ormai nel collezionismo stiamo vivendo una stagione di grande eclettismo. Chi compra è attento alle diverse sfumature del sapere, ma soprattutto l’oggetto artistico non viene percepito come separato dal reperto naturalistico. Si punta piuttosto a vedere l’arte come un completamento della natura e viceversa. È uno sguardo lunghissimo, sicuramente, che è esclusivo del collezionismo e non coinvolge i Musei scientifici di storia naturale, per ora”. 

Di certo, un dinosauro in vetrina nel centro storico di Milano, nel cuore di Brera, è un simbolo estetico non da poco del nostro XXI secolo. Siamo ormai arrivati ad un punto critico della nostra relazione con il tempo.

Benché ancora ipnotizzati dalla seduzione cronologica del progresso, i cambiamenti climatici e i processi di estinzione ci mostrano che gli equilibri ecologici del nostro Pianeta seguono ritmi e leggi intrinseche che neppure la tecnologia può dominare.

Eppure, abbiamo costruito attorno alle specie estinte da decine di milioni di anni una estetica del tempo, in cui il piacere della ricerca scientifica è una cosa sola con il sentimento di essere i dominatori finali e gli unici sopravvissuti di una epopea di dimensioni cosmiche.

Come ha mostrato Anselm Franke nel suo lavoro Animismus per la HKW di Berlino, ogni reperto è sempre una rappresentazione che risponde ad una esigenza di ordine e di gerarchia. L’uso delle specie estinte, nelle collezioni pubbliche e private, espone la vita biologica estinta a questo tipo di manipolazione culturale, tipica dell’Antropocene. L’epoca dell’uomo costringe ogni organismo ad essere human-reliant e questo trasforma, gioco forza, ogni organismo in un oggetto culturalmente esperibile. La cultura forza la natura a diventare natura mediata

Per questo è rilevante, su di un piano storico e anche antropologico, che i collezionisti d’arte collezionino anche la natura. È un passaggio ulteriore rispetto alla svolta scientifica avvenuta tra Seicento e Settecento, quando si passò dalla solo rappresentazione degli esseri viventi alla loro classificazione.

Oggi, la cultura estetica dell’Antropocene sembra recuperare al sapere una vocazione enciclopedica. Nel XXI secolo, bellezza e natura tendano a precipitare nella dimensione dell’artificiale. “È una tendenza di mercato che arriva in Italia dall’estero e che, direi, consiste molto nel mettere insieme il design con la paleontologia”.

“C’è una maturità in questo senso da parte dei collezionisti”, dice Matteo Cambi, Responsabile della casa d’aste. “Piuttosto che optare per, ad esempio, un Tiziano rarissimo, si sceglie un dinosauro alto tre metri. Ancora prima, e cioè qualche anno fa, era nato un altro abbinamento insolito: il frammento di scultura classica greco-romana al design contemporaneo. Questa sarà la nostra terza asta di oggetti naturalistici”.  

Potrebbe essere anche qualcosa di più, considerato il modo in cui Othnielosaurus è esposto. Una comune strada cittadina che diventa una esperienza dell’Antropocene. 

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