Home » Grandi Felini » Il cimurro minaccia la tigre di Amur

Il potenziale esplosivo di un virus non riguarda solo le comunità umane. Ma anche i grandi carnivori, che sopravvivono in popolazioni frammentate e poco numerose. La tigre di Amur (Panthera tigris altaica), comunemente nota come tigre siberiana, è in cima alla lista.

Ogni popolazione di tigre ha ormai un valore immenso per le diverse sottospecie. In Asia, la tigre ha già imboccato da almeno 50 anni il destino fatale che si spera, oggi, di poter evitare ai suoi cugini più prossimi, il giaguaro e il leone africano. L’enorme frammentazione dell’habitat è infatti il preambolo del declino genetico.

Tigre di Amur. Credit: John Goodrich per Panthera Cats.
(Photo Credit: Panthera on Twitter, 16 giugno 2020)

Il patogeno killer è il cimurro canino (Canine morbillivirus), un virus della famiglia dei morbillivirus. I risultati di uno studio appena pubblicato sulla PNAS e condotto nell’estremo nord est della Russia (regione del Primorskii e del Sikothe Alin), in Siberia, l’ultimo habitat della tigre di Amur, conferma questa preoccupazione.

“Il cimurro è stato identificato per la prima volta fra le tigri di Amur nel 2003 e alcuni casi sono stati confermati nel 2010. Gli anticorpi per questa malattia non c’erano nei campioni di 18 tigri esaminati prima del 2000 e sono invece stati trovati in 20 delle 54 tigri prese in considerazione da allora. Il 54%”. 

Stiamo parlando di una specie che ad oggi conta meno di 554 individui allo stato selvaggio, la condizione perfetta perché un solo patogeno particolarmente mortale abbia un effetto catastrofico, insistendo sulla bassa diversità genetica della specie. 

Ma anche questa è una storia che racconta della linea di faglia sempre più rischiosa e pericolosa di “human encroanchment” e cioè del continuo incrocio tra esseri umani e faune selvatiche, perché il cimurro canino è un virus che ha come ospite di elezione il cane domestico.

Dove ci sono gli uomini, ci sono anche i cani, e dove ci sono tigri e cani a soccombere sono, ormai, le tigri.

Ma c’è una altra questione che emerge qui: la sovrapposizione di fattori ecologici differenti, che, mixati insieme, rendono sempre più difficili gli sforzi di conservazione e protezione di una specie, quando più punti critici vengono superati simultaneamente. A quel punto, l’equazione diventa non lineare e la buona volontà, o i nobili ideali attorno ad uno degli animali più belli del Pianeta, franano su una realtà fragilissima. 

Gli autori forniscono esempi di eventi devastanti che hanno già coinvolto altri carnivori, e il minimo comune denominatore sono patogeni virali provenienti dai cani domestici: “le malattie infettive sono sempre più spesso ritenute una minaccia di estinzione per i carnivori già in pericolo, e i virus, specialmente quelli associati al cane domestico, sono stati la causa del declino massiccio di diverse popolazioni”.

“Tra questi patogeni, il cimurro canino ha causato epidemie tra i leoni del Serengeti (Panthera leo), tra i lupi etiopi (Canis simensis) e tra le volpi della Channel Island, California (Urocyon littoralis)”.

Il rischio di estinzione per la tigre di Amur potrebbe essere fatale entro i prossimi 50 anni, se non si trova il modo di arginare la diffusione del cimurro canino.

Ma non sono soltanto i cani dei villaggi il vettore-ospite del cimurro, avverte questo studio a cui hanno collaborato alcuni tra i massimi esperti del grande gatto siberiano, come Dave Miquelle, della Wildlife Conservation Society, che ha trascorso ormai quasi 20 anni con le tigri. 

La Amur, infatti, caccia più mammiferi e vive in un habitat in cui ci sono 17 specie di carnivori, anch’essi potenzialmente ospiti del virus: “gli animali selvatici sono ospite-chiave per il cimurro canino e per la sua persistenza in tutto l’estremo oriente russo e sono una importante fonte di contagio per le tigri in questa regione. Ci sono diversi circuiti potenziali di trasmissione del virus dai carnivori selvatici alle tigri”.

“La recente scoperta del virus del cimurro in un cane procione (Nyctereutes procyonoides) ucciso da una tigre nel Primorskii meridionale suggerisce che la predazione sia uno di questi circuiti di infezione. Specie suscettibili (che includono la donnola siberiana, Mustela sibirica, lo zibellino, Martes zibellina, e il cinghiale selvatico) sono stati osservati attorno ai siti di uccisione delle prede della tigre e per questo costruiscono una possibile opportunità di trasmissione indiretta”. 

Individuare tutti gli ospiti per delimitare una area di rischio per la Amur è di fatto impossibile in una area estesa, con temperature polari in inverno e tagliata fuori da linee di comunicazione facilmente percorribili. Dove domina la tigre la taiga a conifere è incontrastata. Anche per questi motivi, finora, l’attenzione di tutti è stata su campagne di vaccinazione circoscritte ai cani domestici. 

L’obiettivo di questo studio è stato quindi raccogliere e valutare dati epidemiologici che facessero chiarezza sulla importanza nella trasmissione del cimurro alle tigri dei cani, appartenenti a 37 villaggi, e di 8 specie di ospiti selvatici. I campioni sierologici delle tigri sono stati raccolti dal 2000 al 2014 nella Lazovskii Zapovednik e nella leggendaria Sikhote-Alin Biosphere Zapovednik. 

“I dati genetici (sui ceppi di virus, ndr) mostrano che virus strettamente imparenti stanno infettando un ampio gruppo di carnivori selvaggi che funzionano da ospite attraverso una estesa area geografica già da parecchio tempo, ma non ci sono prove di una correlazione con i virus che, invece, circolano tra i cani domestici in questa stessa regione (…)”

“Il punto centrale è che, anche senza una comprensione completa del cimurro nei cani, abbiamo ormai sufficienti evidenze per suggerire che interventi focalizzati esclusivamente sui cani domestici non sarebbero efficaci nel prevenire l’infezione delle tigri, proprio per il ruolo degli animali selvatici”. 

In uno studio del 2009 apparso sulla ANIMAL CONSERVATION della Zoological Society London (ZSL) questo contesto ecologico appariva già preoccupante: “molti patogeni, e in particolare i virus, hanno una propensione a cambiare ospiti ed anche ad infettare la stessa popolazione ospite con risultati anche molto differenti”.

“Le co-infezioni, fattori ambientali e una miriade di fattori connessi al tipo di ospite possono interagire provocando una certa suscettibilità alla malattia. Ciò che è chiaro è che coloro che amministrano la fauna selvatica devono ormai essere preparati all’emergere di nuove malattie. Mentre il contatto tra animali domestici e specie selvatiche aumenta e le condizioni ambientali mutano, nuovi schemi di patologie a danno della wildlife, e quindi nuovi schemi di mortalità, verranno inevitabilmente a galla”. 

Gli autori suggeriscono che la vaccinazione delle ultime tigri siberiane sia l’unica via per arginare l’infezione e abbattere il rischio di estinzione, ma seguendo un “low-coverage vaccination approach” e cioè un programma di vaccinazione graduale.

Il team di ricercatori ha già testato una strategia del genere in una ridottissima popolazione di Amur in prossimità del Land of the Leopard National Park, con risultati incoraggianti. “La vaccinazione annuale di 2 tigri per anno ha  ridotto la probabilità di estinzione entro 50 anni dal 15.8% al 5.7%, con un costo annuo, per la campagna, di meno di 30mila dollari americani”.

Questa sub-popolazione è “di grande valore per la conservazione della specie, come fonte per ri-colonizzare il nord est della Cina”. 

Tutto questo conferma che, per quanto fragili, gli sforzi di recupero numerico di una specie ridotta a poche centinaia di esemplari sono la strategia di lungo periodo più efficace contro l’intero comparto di fattori distruttivi che nei prossimi decenni andranno intensificandosi.

Perché è la quantità di individui di una singola specie l’indice definitivo e inequivocabile del successo nella protezione di un habitat e di tutti i suoi attori, predatori di vertice compresi. 

(Foto in copertina: dal libro capolavoro di John Vailant LA TIGRE).

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