Occorre più o meno una ora e mezza di jeep per raggiungere, viaggiando verso ovest, lo !Xaus partendo da Kamqua. Questa parte del Kgalagadi non è pianeggiante: le dune compatte formano un paesaggio collinare, con rade acacie solitarie e un veld ininterrotto di cespugli di Stipagrostis amabilis. La !Xaus Community è la porta dell’eternità.
La jeep procede su un continuo alternarsi di salite e ripide discese, che le ruote 4×4 aggrediscono slittando. I bordi dei solchi scavati dai pneumatici sono diventati alti come contrafforti, e arrivano quasi ai cerchioni.
Procediamo a non più di 30 o 40 chilometri orari, ma l’aria gelata del tramonto ci si schianta addosso velocissima e implacabile dandoci la sensazione di star correndo a perdifiato sulle dune, sempre più in alto, verso l’eternità.
Il paesaggio stesso sembra aver perso la sua dimensione terrena per aprirsi all’atmosfera, dove il sole va spegnendosi all’avanzare delle tenebre.
Le dune rosse del Kgalagadi sprigionano poteri cosmologici e rivelano di nuovo gli elementi primordiali di cui è fatto il mondo. La radiazione ultravioletta, decisa a non morire prima di aver completato il proprio lavoro di creazione, trasforma ogni sfumatura di colore in una unica tonalità arancione.
Una gazzella steenbok e una aquila Chanting Gostwawk, in un secondo che rimane immediatamente fissato nella infinità del tempo, ci osservano, chiusi in un enigmatico silenzio di attesa.

Spingendoci sempre più verso ovest, le colline e le dune rosse prendono possesso di tutto, sovvertendo gli equilibri di potere di ogni forma di civiltà.
Agguantano i nostri strumenti fotografici e telefonici, regolano i giri del motore diesel della jeep, vanificano la nostra mappa geografica del Kgalagadi.
Entriamo in un regno dove tutto può ricominciare da capo, ciò che è e ciò che potrà essere. Una fragranza sconcertante, pastosa, di tuberi dolci aleggia sui cespugli verde acqua e satura il nostro olfatto.
In Europa, millenni fa, i Greci chiamarono un simile profumo ambrosia, e lo immaginarono come un privilegio degli Dei. Ma qui non ci sono Dei europei. E neppure le pretese dei figli di Prometeo.
In questo sprofondare, salendo sulle colline, nella immensità non misurabile del tempo profondo – il tempo che in biologia evolutiva designa lo spazio cronologico lungo il quale ciò che è ha avuto l’opportunità di diventare ciò che appunto è – risorge, questa è la mia impressione – il primo pensiero dell’uomo su se stesso, sugli animali, sulle piante, sugli enti.
“Diventare una specie è un processo, non un evento”, ha scritto Carl Safina su Yale Environment 360.
E in questo divenire le estinzioni stesse rappresentano la continuità della vita: “la vita intera presente oggi non è il prodotto di una serie di estinzioni; ogni specie, ogni individuo vivente è parte di una linea di discendenza che non si è ancora estinta lungo miliardi di anni”.

Per questo gli animali che stanno attorno a noi, qui, ora, nel veld freddo della sera, portano con sé storie millenarie. I loro geni, il loro stesso aspetto è la sintesi del passato, del presente e del futuro.
Gli animali sono messaggeri del tempo. Per questo sono gli Dei autentici di quel luogo remoto in cui ancora adesso in Antropocene riposano le radici di noi umani.
Può darsi, questo provo a pensare chilometro dopo chilometro, che i Greci lo abbiano pensato questo luogo remoto, ma dalle loro premesse emerse infine la nostra civiltà europea bianca, che, lo si ammetta o meno, ha purtroppo deciso la partita sull’intero Pianeta.
Il pensiero aurorale, come Heidegger chiamava il principio dell’interrogazione filosofica prima di Platone, fu in grado di cogliere l’importanza imperitura di questo luogo remoto?
E se ciò non accadde, le scienze naturali, oggi, sono abbastanza vaste da cogliere il significato ontologico di ciò che hanno scoperto? Non è forse la conservazione una consapevolezza su tutto questo che aspira a diventare legge, diritto e legislazione universale?

La magnificenza del territorio che appartiene alla !Xaus Community va al di là delle nostre capacità di comprensione.
Mentre il direttore del lodge, Anthony, ci accoglie attorno a noi suona una musica di sconcerto e stupore così nuova da disintegrare la nostra lingua e il nostro linguaggio.
Qualunque cosa sia, nell’animo e nella genetica di Homo sapiens, il luogo remoto da cui proveniamo, la storia che abbiamo intrapreso negli ultimi cinque secoli ce ne ha distanziati con effetti nefasti che ora mettono in pericolo la sopravvivenza di tutti. Star dentro questa estraniazione evolutiva, geografica, che pur dal nostro essere “specie” proviene: ecco che cosa è la sesta estinzione di massa.
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