Home » Kgalagadi » Kamqua: affidare la vita ai leoni

Kamqua: affidare la vita ai leoni. Paradossale fino a essere ridicolo. Eppure nel Kgalagadi quando scendi dalla jeep lo sai che potresti trovarti faccia a faccia con un leone. Ma sai anche che un leone selvaggio, a cui è stato assicurato il diritto di esistere a modo suo, non è un tuo nemico.

Ma non tutto il Sudafrica è un posto felice per la megafauna. Il Sudafrica è un Paese di ombre e oscurità, per dire il meno. Molta di questa oscurità non ha origine nella segregazione razziale e nell’apartheid, ma in decisioni prese dopo che la Nazione decise di imboccare la strada del post colonialismo e della propria emancipazione spirituale.

Gli animali sono una voce di PIL per il Sudafrica. E i leoni rendono parecchio. 

L’allevamento dei leoni in cattività in ranch, game farms, fattorie è un business in crescita, denunciato nel 2015 dal documentario Blood Lions e poi a settembre del 2016 durante la COP 17 della Convenzione Mondiale per la Biodiversità che si svolse proprio a Johannesburg.

Molte nazioni, tra cui il Botswana, si batterono allora fino all’ultimo voto per un upgrading di Panthera leo in Appendix I della classificazione internazionale Cites.

Questo avrebbe significato spostare il leone dallo status “vulnerabile” ( in cui è dal 1996) alla condizione di “minacciato”, con lo scopo di rendere illegale su scala mondiale il commercio di ogni parte della carcassa di un qualunque esemplare morto: denti, ossa, pelle, cranio, artigli.

Da un punto di vista biologico, il leone appartiene alla famiglia delle pantere, e questo lo pone comodamente accanto alla tigre, sempre più rara, nella medicina tradizionale cinese aggiornata al terzo millennio.

Per questo le sue ossa valgono una montagna di dollari. Nel 2016 il Sudafrica ottenne infine ciò che voleva, e cioè bloccare l’upgrading della specie in Red List e continuare indisturbato a rilasciare permessi per le farms.

Il Sudafrica comincia ad allevare leoni negli anni ’90. Secondo stime attendibili nel 1999 c’erano già almeno 1000 leoni in gabbia. Le statistiche attuali non danno certezze.

Questo mercato gode infatti di una impunità legislativa che trova i suoi appigli giuridici, secondo EMS e BAN, in falle del sistema CITES e in palesi omissioni di controllo da parte del Ministero dell’Ambiente (DEA, Dipartimento per gli Affari Ambientali).

Una ricognizione del 2015 condotta da Traffic e WildCru Oxford ( la task force inglese che monitorava anche Cecil the Lion in Zimbabwe) dava 9100 leoni in tutto il Sudafrica, cifra che comprendeva ogni tipo di leone del Sudafrica: quelli allevati erano circa il 68%, e cioè 6.188.

Un numero impressionante, se si riflette sul totale di leoni rimasti in Africa, non più di 25mila. I leoni del Kgalagadi sono circa 500.

Nel 2017 il DEA ha dichiarato che sul suolo nazionale ci sono 300 strutture impegnate nell’allevamento, senza fornire numeri complessivi.

IMG_6922
(Una facility tipica del Kgalagadi. Si noti il cartello: “non ci sono recinzioni, lasci il tuo veicolo a tuo rischio e pericolo”)

Il Kgalagadi non è una area protetta chiusa (fenced). Scendere dalla propria jeep è un rischio. Puro libero arbitrio. Ma poiché è inevitabile è consigliabile farlo in apposite aree di sosta.

Il codice di condotta del Kgalagadi promuove una “cultura del leone e dei predatori”. Rispettare le regole.

Se ti trovi davanti un leone, non perdere il contatto visivo con il suo sguardo e indietreggia lentamente. Non scrutare il paesaggio in lontananza nell’erba alta. Non camminare lungo le piste sabbiose. Rientra nei luoghi di sosta al calare delle tenebre.

Così si impara a convivere.

Giorno dopo giorno, il leone del Kgalagadi diventa una presenza certa, continua, consustanziale all’alba, al caffè della mattina, al fuoco della sera. Lui è con te, e tu sei con lui. E’ una legge scritta in un tempo lontanissimo, è una legge genetica, e quindi incancellabile dalla nostra storia.

IMG_6889(Una pagina del magazine del SanParks disponibile allo !Xaus Lodge)

Questo non significa che quando leggi il cartello di avviso nelle aree di sosta non senti un brivido gelato lungo la schiena. Significa soltanto che accetti il predatore di vertice. Gli affidi la tua presenza così come lui è accoglie la tua.

Nei libri di Elizabeth Marshall Thomas (che visse per anni nel Kalahari con la famiglia), di John Vaillant ( nella sua biografia della tigre siberiana), di Mark e Delia Owens (che trascorsero 7 anni nella Central Kalahari Game Reserve, Botswana) questa condizione ecologica è documentata da decine di esempi storici.

Esmpi che trovano conferma nella civiltà San: il leone del Kalahari può convivere con gli esseri umani. E quindi anche con i visitatori occasionali.

Il Sudafrica esprime, come nazione, una cultura della conservazione avanzatissima al Kgalagadi. Eppure, permette lo sterminio legale di migliaia di leoni. La biopolitica del XXI secolo. Che non risparmia le specie a rischio, ma, anzi, le travolge e consuma proprio perché sono in estinzione.

IMG_7083( I leoni del Kgalagadi, Predator Centre Nossob Gate)

“il Dipartimento per gli Affari Ambientali ha ripetutamente sostenuto che l’allevamento in cattività dei leoni per i cacciatori di trofei e il commercio di leoni vivi e dei loro scheletri è compatibile con la promozione del concetto di green economy”.

Frasi ufficiali come queste fanno capire che la questione non riguarda solo il diritto di intendere il proprio patrimonio faunistico nei modi più consoni all’interesse nazionale.

Qui si tratta di come il leone viene percepito in Sudafrica in termini economici e politici. Il futuro del leone in Sudafrica dipende dalla possibilità che la specie acquisisca in sede giuridica una dignità ecologica e storica e dunque un diritto genetico, evolutivo alla sopravvivenza.

Questi aspetti culturali sono stati colti, nella loro vastità, da Paul Funston, Lion and Cheetah Program Senior Director per Panthera, che è stato anni al Kgalagadi: “I leoni selvaggi sono una tale fonte di orgoglio nazionale”.

Un partito di opposizione al governo ANC, lo Inkhata Freedon Party, ha detto: “questa pratica non è altro se non la riduzione a prodotto commerciale (commodification) di un predatore di vertice dell’Africa, per il vantaggio economico di un pugno di persone, con un danno grande e disturbante per il brand South Africa”.

IMG_7085(Due piccoli, foto esposta sempre al Predator Centre del Nossob Gate)

In una rete di affari transnazionale di questa portata, le aree protette di tutta l’Africa non possono essere escluse dal bilancio. The Extinction Business cita anche un altro studio, uscito su PLOS ONE lo scorso ottobre, Questionnaire survey of the pan-African trade in lion body parts .

L’indagine mette in correlazione il numero crescente di leoni avvelenati o uccisi in Mozambico, Zimbabwe, Sudafrica, Uganda e Tanzania con la domanda di ossa di felini in Cina e sud-est Asia.

Secondo EMS, infatti, pezzi di leoni selvatici uccisi di frodo escono dal Paese in bagagli di passeggeri diretti in nazioni africane “di transito” verso l’Asia.

Nel 2017 all’aeroporto internazionale Tambo di Johannesburg sono state sequestrati 51 artigli e 19 denti in una valigia che sarebbe finita in Nigeria.

Ma adesso siamo a Kamqua e l’ultima radiazione solare della giornata si riversa su di noi come una promessa che nessuno ha il diritto di negare.

Le promesse sono il fondamento di ogni orizzonte e possono aspettare lunghi anni per essere soddisfatte. La !Xaus Community è una di queste promesse all’umanità. 

(Foto in copertina: la tipica area di sosta del Kgalagadi. I predatori possono spuntare all’improssivo e un cartello avvisa che chi scende dal proprio veicolo ne deve essere consapevole ed assumersene il rischio).

Rispondi

MONDO ED ESTINZIONE

Scopri di più da Tracking Extinction

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading