Non sappiamo se siamo in guerra. Non sappiamo se il collasso ecologico possa essere paragonato ad un conflitto armato. Leggere Marc Bloch, il grande storico medievale, e in particolare la sua esperienza durante la Seconda Guerra Mondiale, fornisce insoliti spunti di riflessione. La guerra al Pianeta spiegata da Marc Bloch. Ecco una utile provocazione.
Ma partiamo dall’inizio. In base a quali dati dovremmo definire lo stato delle cose una “guerra”?
Non ci sono infatti dichiarazioni di belligeranza palesi, impugnabili, depositate nelle cancellerie di mezzo mondo, in questa crisi ecologica. Neil Levy, che insegna al Centre for Practical Ethics di Oxford ritiene ad esempio che questo passaggio storico non assomigli né ad un evento bellico né ad una grande recessione economica.
Il motivo è presto detto: a differenza di qualunque evento bellico, anche il più sanguinoso e crudele, la catastrofe ecologica non finirà con la firma di un trattato di pace. Le evidenze scientifiche a nostra disposizione ci dicono invece che la traiettoria ormai imboccata a tutta velocità è per certi aspetti irreversibile.
Se anche oggi traducessimo in politiche concrete misure di protezione severissime contro l’emorragia di estinzione, servirebbero ai mammiferi e alle altre forme di vita del Pianeta tra i 5 e i 7 milioni di anni per tornare a condizioni numeriche pre-umane.
Per quanto riguarda il clima, l’anidride carbonica pompata in atmosfera negli ultimi 150 anni ha innescato effetti domino dall’esito imprevedibile, spingendo almeno 9 parametri ecologici e fisici al punto di non ritorno. Li ha elencati e discussi CARBONBRIEF.
Tra questi 9: la trasformazione della foresta amazzonica in una savana, l’interruzione della AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation, la circolazione di acque calde e fredde nel sistema Atlantico-Artico che produce il clima temperato di metà Europa occidentale).
Lo scioglimento del permafrost in Alaska e Siberia e il conseguente “biome shift”, cioè lo spostamento verso nord degli habitat di taiga e foresta boreale; l’alterazione del sistema monsonico dell’Africa Occidentale e quindi del Sahel.
Per i pochi che usano informarsi sullo stato del Pianeta questo significa soltanto una cosa: una crescente, oscura angoscia. Non tanto il sentimento di impotenza personale, quanto piuttosto la consapevolezza di una perdita irreversibile che diventerà motivo di afflizione per tutte le generazioni dopo di noi.
Si ripropone dunque anche a noi una domanda che ha tormentato per un secolo gli intellettuali russi dell’Ottocento: che fare?
Un buon suggerimento, anzi, una lunga lista di buone intenzioni improntate a rara saggezza, proviene da Marc Bloch, uno dei più grandi storici del Novecento.
Ha parlato di lui, incrociando, io credo, anche il nostro presente ecologico, Alessandro Barbero in una lectio magistralis di stupefacente freschezza disponibile su YouTube: Alessandro Barbero spiega Marc Bloch.
Bloch intanto fu uomo di studio, di biblioteche e di campi di battaglia in egual misura. Decorato nella Prima Guerra Mondiale, combatté fino all’Armistizio anche nella Seconda, perché non si tirò mai indietro al richiamo della sua patria e dell’urgenza storica e infatti poi finì con coraggio a servire nella Resistenza. Decisione che gli costò la vita. Bloch, spiega Barbero, rivoluzionò la storiografia francese perché comprese, nelle trincee di fango, sangue e materiale cerebrale esploso dei suoi compagni, che “la storia non è fatta solo di grandi imprese, ma è fatta di tutto, non c’è nulla nella vita che non interessi ad uno storico”. Un metodo non troppo dissimile da quello di Charles Darwin.
Nel 1929 Bloch fondò, insieme all’amico Lucien Febvre, la rivista Les Annales, che infatti prendeva in considerazione ambiti dell’esperienza umana mai prima considerati: la psicologia della testimonianza, la storia dei prezzi e dei salari, l’antropologia, per via dei riti e delle credenze religiose. E molto altro.
Barbero porta un esempio straordinario della mentalità di Bloch, che aveva capito quanto i dettagli apparentemente volgari, rozzi, insignificanti, polverosi siano invece gli indizi dei movimenti sotterranei di pensiero e materiali che, alla fine, producono gli eventi estremi e mastodontici, come ad esempio una guerra.
Alessandro Barbero racconta infatti come Marc Bloch, cattedratico della Sorbona, si fosse messo a studiare l’abitudine delle massaie francesi di preparare la marmellata al principio dell’autunno.
Ma perché tutte queste confetture? Perché lo zucchero nel 1935 costa poco. É sempre stato così? Certo che no, scopre Bloch. É così adesso, perché lo zucchero in commercio viene dalla barbabietola, e non dalla costosa canna da zucchero caraibica. Le barbabietole le seminiamo anche qui a casa nostra. Ai tempi delle nostre trisavole non ci si poteva permettere questo “rito borghese”.
Ed ecco, allora, “una storia dimenticata della nostra storia di Francia”.
Concentrati come siamo sulle statistiche roboanti del cambiamento climatico, sulla lettura macroscopica delle trasformazioni ecologiche in corso, prestiamo poca attenzione alle alterazioni funzionali che sono sotto i nostri occhi.
Al fatto, ad esempio, che quest’anno non abbiamo avuto l’inverno. O alla fioritura anticipata dei ciliegi, durante il Carnevale. Eppure, nulla di ciò a cui siamo avvezzi, anche nella nostra dieta, è scontato o eterno.
La marmellata di Bloch che racconta la storia di Francia è il confine su cui si infrange anche la ricerca di un consenso sui sacrifici necessari ad arginare il declino del Pianeta.
Perché solo attraverso minuzie di questo genere la catastrofe diventa finalmente tangibile ed evidente. Pensiamo a cosa accadrebbe se questa estate l’acqua venisse razionata e i parrucchieri dovessero tagliare il numero di pacchetti “sciampo e piega” per le loro clienti.
O se un ridimensionamento della nostra disponibilità energetica imponesse a migliaia di massaie di rinunciare a stirare camice e lenzuola.
Il fatto che una guerra non sia mai stata dichiarata o che non ci troviamo sotto bombardamenti nemici non significa che non siamo entrati da tempo in una condizione radicale.
Bloch, tra le altre cose, quando si trovò al fronte durante l’invasione nazista in Francia, scrisse anche che la sua generazione scopriva troppo tardi quanto snob fosse stato il ritiro dorato degli anni precedenti. La comoda vita sprofondati in poltrona a comporre saggistica sofisticata in ottimo francese. Mentre la società civile franava su se stessa. Ogni individuo conta, quanto alla costruzione della comunità, scrisse Bloch. E anche qui abbiamo di che attingere sul nostro presente, non per sentirsi meno disperati, ma più partecipi di sicuro: sentirsi responsabili del nostro tempo è un dovere civile.
Le discussioni sulla identità storica europea sono oggi roventi. Non c’entra solo la politica, in questo conflitto tra l’idea di nazione, il futuro di decisioni urgenti che per forza di cose dovremo prendere in modo condiviso su problemi globali, come i cambiamenti climatici, e la generale percezione che molto di ciò che abbiamo ereditato si stia atrofizzando. La civiltà occidentale si trova ormai a dover pagare il conto di uno schema di espansione antico di cinque secoli. Conquistadores Adventum: “il genio di Ojeda” è la seconda parte della intervista in esclusiva a Israel Del Santo, il regista del docufilm evento prodotto dalla Movistar.
Genocidi ed appropriazione di territori ancora vergini. Conquistadores rende ogni passaggio a tinte grigie, e non bianche o nere. Qui non c’è nessuna traccia di propaganda, in un senso o nell’altro. Concordi?
Sono molto chiaro su questo punto: Conquistadores è ben lungi dall’essere propaganda, e non sai come apprezzo che in Italia tu la veda così. Molti in Spagna, nostalgici per un impero idealizzato (come tutti gli imperi), considerano Conquistadores una serie anti-patriottica che osa parlare male di quei gloriosi conquistatori spagnoli che hanno conquistato il mondo.
Tutto ciò che questi uomini ‘hanno fatto di sbagliato’, lo considerano parte della ‘leggenda nera anti-spagnola’ e tutto ciò che invece‘hanno fatto bene’, viene celebrato come parte della ‘leggenda rosa spagnola’. Ma né la leggenda nera era così scura, né la leggenda rosa era così rosa. È a metà che sta Conquistadores.
Conquistadores non è anti-spagnolo, infatti non è contro nulla. Anzi, noi non pensiamo nemmeno che fosse la Spagna la protagonista di quel periodo storico. La Spagna, come la conosciamo ora, non esisteva neppure. Appena esisteva il regno di Castiglia. Su quelle navi viaggiavano uomini dalle molte origini. Magellano era portoghese, Colombo genovese, Pigafetta fiorentino. Le barche si nutrivano, per così dire, di marinai portoghesi e persino di norvegesi ! I giudizi sul male e sul bene non mi interessano. Spettano allo spettatore.
Come in tutte le storie in cui è l’essere umano il protagonista, c’erano i buoni, i cattivi, i meschini, i nobili di cuore, i codardi, i brutti e i belli. Credere che tutti i conquistatori fossero gentiluomini di bell’aspetto che pensavano solo a costruire università nel Nuovo Mondo è, a dire il meno, un modo di pensare infantile.
La realtà è che questi uomini non erano una ONG. E molti diranno: la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo non esisteva ancora. Certo che no, non esisteva ancora. Ma c’era il ‘Non uccidere’ e il ‘Non rubare’, e quegli uomini, se leggevano qualcosa, leggevano la Bibbia.
E a proposito della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, basta un’occhiata alla volontà testamentaria della regina Isabella di Castilla per rendersi conto che in questa conquista c’era anche preoccupazione per gli uomini e le donne che vivevano in quelle terre appena scoperte: ‘Ordino che siano trattati come esseri liberi, come fratelli’. Questo è il testamento lasciato dalla regina.
Credere che tutti i conquistatori si attenessero a questo ordine, fa parte, ancora una volta, di un pensiero infantile, capriccioso e partigiano.
Durante lo sviluppo della sceneggiatura e nella raccolta della documentazione, abbiamo sempre mantenuto una premessa: la Spagna di Franco è la stessa di quella di Federico Garcia Lorca, così come la Spagna della conquista è quella di Pizarro, di Pedrarias,di Fray Bartolomé de las Casas e della regina Isabella.
Magellano è un titano. Il suo carattere è oscuro, forte e ambiguo. Ma comunque titanico. Magellano ha mostrato come noi Europei abbiamo imparato ad essere grandi. Osò navigare nell’Oceano Pacifico. Gli esseri umani devono per forza non avere scrupoli per essere capaci di simili imprese?
Un uomo molto imprudente. Se qualcuno avesse avvertito la spedizione di Magellano del freddo che avrebbero sofferto per mesi sulla costa della Patagonia, pur di raggiungere le terre delle spezie tanto agognate, se lui avesse compreso in anticipo che quel mare completamente nuovo così a sud sembrava tranquillo, ma non lo era affatto, e non si poteva quindi attraversarlo in due settimane, ci volevano mesi …
Se gli avessero detto che per sopravvivere sarebbero stati costretti a mangiare segatura e cuoio bollito … Se Magellano avesse intuito che solo 11 di quei marinai sarebbero riusciti a tornare a casa, ormai senza denti…non sarebbe mai partito.
È stata la capacità di questi uomini di affrontare l’ignoto a renderli esseri giganteschi.
Magellano ed Elcano non hanno battuto il guinness dei primati. Infatti, non furono semplicemente i primi a circumnavigare la terra, a fare il giro del mondo. Furono molto di più.
La loro impresa, senza che neppure lo sospettassero, era la prova definitiva che il nostro Pianeta era davvero una sfera. Ma dimostrarono anche che tutti i mari sono interconnessi, e che quindi possono essere navigati.
Hanno aperto la porta e gli occhi ad una umanità desiderosa di sapere quanto lontano potesse spingersi. Hanno verificato che tutte le mappe erano sbagliate, perché la maggior parte del nostro Pianeta è blu, essendo i suoi mari giganteschi.
E tutto questo grazie ad una squadra che, benché portasse bandiera spagnola, sembrava piuttosto una commissione delle Nazioni Unite: il capitano portoghese, il cronista italiano, l’equipaggio spagnolo, norvegese, francese e persino uno schiavo della Malesia che si rivelò essere il primo essere umano ad andare in giro per il mondo.
Penso che dipenda da lui se questo viaggio mantiene ancora oggi un record. E non sorprende che, non essendo un europeo, non fosse il suo nome a finire scritto nei libri di Storia con lettere dorate. La Storia è sempre stata molto classista.
Magellano, interpretato brillantemente da Denis Gómez, era un uomo oscuro, un capitano che non impartisce mai ordini direttamente ai suoi marinai. Una personalità di ferro capace di sostenere ogni tipo di disgrazia a vantaggio dell’impresa e del bene dei suoi uomini.
L’ignoto non è solo la geografia del nuovo mondo, nel tuo film, ma anche la verità più intima dell’animo umano. Noi stessi sembriamo emergere da un oceano di spinte emotive sconosciute e da passioni che hanno finito con il dar forma al mondo intero. Era tua intenzione far uscire questi aspetti?
Pigafetta scrisse nel suo diario di bordo: ‘Nessuno negli anni a venire si avventurerà a navigare in questi mari’. Vale a dire, non avevano la visione globale di quelli che sarebbero venuti dopo le loro scoperte.
Non potevano averlo. Miguel Diaz de Espada, co-sceneggiatore di Conquistadores insieme a me, ci ripeteva in continuazione queste domande: che cosa ha portato questi uomini a intraprendere spedizioni di questo tipo? Quali sentimenti si portarono dietro dall’altra parte del globo?
È meraviglioso scoprire che ognuno di loro aveva motivazioni molto diverse.
Pigaffetta era quasi il primo turista nella storia, visto che si era imbarcato con Magellano per fame di avventure e per imparare cose nuove. Elcano era sommerso dai debiti in Spagna. Magellano ha voluto dimostrare che era in grado di trovare la rotta per la Cina.
Pizarro sognava di conquistare un impero. Cabeza de Vaca voleva tornare indietro vivo. Cortés era già considerato uno di quei cavalieri dei libri che ebbero così tanto successo in Europa.
C’è solo una cosa su cui tutti sono d’accordo: verso l’Occidente, verso l’ignoto, c’è qualcosa di meglio, più grande e più dorato del luogo da cui provengono. Pochissimi morirono conoscendo l’importanza della loro impresa. Probabilmente nessuno.
In Balboa vediamo fino a che punto il coraggio possa essere ambiguo. Era un criminale, ma anche un uomo libero, un esploratore, un blend di libido e guerra. La parte tenebrosa del carattere luminoso di un esploratore. Parlami di lui e della prima storia d’amore del Nuovo Mondo.
Balboa è un meraviglioso esempio di come è stata la conquista e degli uomini che l’hanno edificata, e sicuramente è morto senza immaginare che anche oggi avremmo parlato di lui. Quando lascia casa sua, non ha in mano niente, neppure un cognome, perché Balboa è un cognome che si dà e si prende, era il nome di un castello vicino alla città dell’Estremadura dove era cresciuto.
Un altro soldato, uno dei tanti fan del vino che si gioca a dadi quel poco che sta vincendo. Uno dei tanti che arrivano in Spagna ingannati con le storie del Nuovo Mondo. Tutti sognano che nel mezzo di quelle giungle ci sia un tesoro con il proprio nome scritto in lettere d’oro.
Ma Balboa non è disposto a tornare a mani vuote. Non c’è nulla che incoraggia un avventuriero più della triste prospettiva di tornare a casa sullo stesso percorso e con gli stessi vestiti con cui ha era partito; quindi, senza nulla da perdere, Balboa è in grado di iniziare come clandestino e finire come capitano.
Sfortunatamente, non è abbastanza, e non c’è un buon spagnolo che gli possa perdonare tale impudenza: si nasce capitano, non lo si diventa. Anche se Balboa dimostra che non è affatto così.
Balboa dimostra come in questa conquista, quando la corona sta progettando qualcosa, niente funziona, ma se invece 40 spagnoli con poco da perdere e una grande dose di coraggio, sicuramente ‘con cojones, si mettono insieme, be’ sono capaci di qualunque cosa.
La scoperta del Pacifico non è un’importante pietra miliare storica per la Spagna, è qualcosa che riguarda tutta l’umanità. In quei primi 30 anni dopo la scoperta, l’essere umano scopre, grazie a un gruppo di miserabili come Balboa, com’è fatto il mondo su cui abita.
Che il mondo è rotondo, che è molto più grande di quanto avresti immaginato, che è abitato da più popoli e razze che non avresti nemmeno osato nominare. Balboa scopre il più grande oceano del nostro pianeta! 60.000 anni di evoluzione dell’essere umano e tutto questo viene scoperto in soli 30 anni.
Questa è, per me, la grandezza di queste azioni. Non è un disco volante, né solo un eroe spagnolo, è ‘un grande passo per l’umanità’. Una volta ho chiesto al mio carissimo amico lo scrittore William Ospina, che ammiro molto, se possiamo confrontare la scoperta dell’America con il momento in cui forse cammineremo su Marte per la prima volta. Mi ha risposto: sì, se scoprissimo che Marte è abitato.
Anauyansi, la donna di Balboa, che bellezza di attrice, vero? C’erano molte Anauyansi nella vita di Balboa, temo che non fosse la prima né l’ultima. Ma in Conquistadores abbiamo voluto insistere in modo molto chiaro su un punto che distingue gli spagnoli dal resto dei colonizzatori europei.
I britannici, i belgi, i francesi, gli italiani, tutti protagonisti di grandi conquiste, uomini di potere, ma nessuno è stato con le persone che abitavano quei nuovi mondi. Certo, gli spagnoli furono lenti nello stringere relazioni sessuali con le popolazioni native, così come tardarono a scendere dalla nave.
Anauyansi è una leggenda, una bella storia basata però su una realtà concreta, e cioè che in quel momento nacque una nuova razza da due fiumi molto diversi. Non è successo in India, o in Congo, o in Sudan o in Eritrea, o negli Stati Uniti o in Australia, o in Mali o in Angola. Invece, in tutta l’America Latina c’erano molti Balboa e molte Anauyansi.
Che cosa possiamo imparare da questi uomini superbi, enormi in ogni aspetto della loro vita?
Posso dirti cosa abbiamo imparato noi: immagina una serie sui conquistatori, convinci i direttori delle aziende a fidarsi della tua idea, raccogli i soldi per tirare fuori l’opera. Tutto mi sembrava un’impresa enorme come quella di Colombo, Pizarro o Magellano, quando non avevano né barche né uomini per prendere il mare.
È inevitabile arrivare a porsi le stesse domande: ma per cosa? Sei veramente disposto a soffrire ciò che devi subire? Ne varrà la pena? Anche se alla fine del viaggio ti viene tagliata la testa? La risposta per noi è stata facile: se loro non si sono tirati indietro, non ci tireremo indietro neppure noi.
Pedro de Alvarado, un uomo che spero tu possa incontrare nella seconda stagione, è morto nel bel mezzo di una battaglia schiacciato dal suo stesso cavallo. Quando i suoi uomini andarono ad aiutarlo, uno di loro gli chiese: Signore, cosa fa male? E lui rispose: L’anima .. La mia anima fa male.
Ojeda è un uomo ancora più contemporaneo. Nel modo in cui lo hai raccontato, anticipa addirittura il Faust di Goethe nelle sue attitudini di uomo completamente moderno. Avidità e fame di ciò che è radicalmente nuovo. Cosa pensi di lui?
È il mio personaggio preferito, penso di non poterlo nascondere, ed è stato anche scritto apposta per quell’attore, Roberto Bonacini. Un vero mostro. Ojeda è quel personaggio dimenticato dalla Storia che quando lo trovi pensi che sia stato nascosto in attesa che tu lo trovi.
Nessuno si ricordava di lui, neppure gli storici erano in grado di dirmi più di due frasi su quell’uomo .. Ma la sua storia è enorme.
Quando abbiamo provato a vendere questo progetto alla televisione, ricordo che lo portavo sempre ad esempio. Non solo era presente durante la conquista di Granada, ma dicono che da solo si introdusse in una fortezza musulmana, aprendo le porte, in modo che il resto del suo esercito potesse prendere il forte. Non contento di ciò, prima di aprire la porta, si inchinò ai suoi difensori !
Andò in America come capitano, per ordine espresso della regina, accompagnando Colombo, catturò Caonabo, un indiano coraggioso, in un modo disgustoso, come si suol dire, dandogli dei braccialetti che si rivelarono essere catene.
Nel suo successivo viaggio verso terre sconosciute aveva a bordo un tale Amerigo Vespucci e un tale Francisco Pizarro! Mandò in rovina tutte le sue missioni sulla terraferma, il suo carattere era così disastroso che Juan de la Cosa morì a causa sua.
Ojeda affrontò anche il primo pirata dei Caraibi, molto prima, secoli prima di Jack Sparrow .. Non c’è personaggio come lui nella Storia, te lo giuro, se Ojeda fosse stato inglese, avremmo già visto più di 200 film su di lui.
La sua catarsi con gli indiani … La sua morte, da solo, sepolto a faccia in su, con la bocca aperta, per pagare i suoi peccati per l’eternità .. Ojeda è un tesoro troppo ricco per un singolo sceneggiatore. E sì, hai ragione, non è il cavaliere errante del Medioevo, è il meraviglioso ladro che ammiriamo tanto ai nostri tempi.
Come possiamo confrontarci, oggi, con i conquistatori di quei 30 anni?
È quasi impossibile confrontare la scala di valori di uno di quegli uomini con la scala di valori degli uomini e delle donne di oggi. Penso che ciò che ammiriamo di più in loro coincida con ciò che meno capiamo. Coraggio, onore, gloria.
Sono le parole più sacre per un conquistatore del XVI secolo, sono motivi per morire. Ma se a qualcuno di noi fosse chiesto di stilare un elenco dei 10 valori che riteniamo più importanti nella vita, nessuno di noi metterebbe in elenco questi tre.
E, naturalmente, non moriremmo per qualcosa di così insignificante. Loro, con tutte le loro contraddizioni, avevano qualcosa che abbiamo perso molto tempo fa: un motivo per morire.
Per comprendere come siamo arrivati al punto in cui si trova oggi la civiltà è indispensabile andare a scavare fin nel buio dell’attitudine umana alla conquista. È quello che è riuscito a fare Israel Del Santo, il poliedrico regista spagnolo che ha diretto lo sceneggiato ConquistadoresAdventum (trasmesso da Rai Storia ), una epica di otto puntate sui primi trenta anni della scoperta del Nuovo Mondo. Conquistadores Adventum scava nel midollo della civiltà.
Conquistadores racconta questa storia – al centro di numerosi revisionismi, anche in conseguenza della crescente consapevolezza di vivere in una epoca di estinzione di massa – come nessuno prima aveva mai avuto il coraggio di raccontarla.
La conquista spagnola delle Americhe appartiene al disagio della civiltà. Anzi, mostra addirittura che l’inquietudine dell’espansione geografica, psicologica e coloniale è a tal punto inscritta nei nostri geni che ogni giudizio morale appare sempre, purtroppo, un inutile orpello post eventum.
È questo il dramma della nostra specie. Tragedia ed eroismo, in queste otto puntate strepitose, compongono un unico carattere umano, dinanzi al quale diventa molto difficile non fremere di ammirazione e di orrore.
Dove avete girato in Sud America? Le riprese di Conquistadores sono state un’esperienza davvero impressionante per tutti noi che ne abbiamo fatto parte. Non è stato, per niente, un lavoro cinematografico tradizionale. In nessun momento abbiamo considerato la possibilità di filmare la conquista in un luogo diverso dalla giungla.
Gran parte di questa squadra veniva dal mondo del documentario e aveva avuto la fortuna di trascorrere molto tempo in luoghi meravigliosi come la foresta pluviale amazzonica. Volevamo sfruttare la nostra esperienza girando in luoghi estremi e mettendo alla prova la nostra conoscenzadelle tribù che li abitano, per creare questa fiction.
Abbiamo costruito un campo nel mezzo della giungla, un luogo lontano dalla civiltà, senza internet o telefono, e lì abbiamo vissuto per mesi, noi, una troupe cinematografica,insieme aindiani, cavalli, cani da guerra, spagnoli con la barba … Cioè, qualcosa non molto lontano da quello che avrebbe dovuto essere un campo spagnolo nel sedicesimo secolo.
Amazonasfilmcamp, come lo abbiamo ribattezzato noi. Un luogo che invito tutti a conoscere. Tutto nella serie è reale. Le barche sono repliche esatte delle caravelle usate da quei marinai (grazie alla Nao Victoria Foundation); gli indiani, sono indiani parlano ancora le loro lingue, ed hanno pochi contatti con gli estranei.
I castelli e le chiese sono fatti di pietra, i villaggi di canne, i fiumi sono fiumi, la giungla è la giungla e la Patagonia è la Patagonia. Abbiamo girato nel sud dell’Argentina, in Patagonia, nel sud della Spagna, a Palos de la Frontera, in Estremadura da cui provengono quasi tutti i conquistatori, nel nord della Spagna, in Cantabria, Navarra e Aragona.
Avevamo la giungla, avevamo barche dell’epoca e la Spagna è piena di castelli e chiese del sedicesimo secolo. Non ci restava che cominciare a girare!
Uno degli aspetti notevoli di Conquistadores sono i suoi attori. Sembrano usciti da ritratti di Velasquez e in generale dalla pittura spagnola del Cinquecento. Avete fatto un casting considerando la bellezza specifica e la presenza fisica degli uomini spagnoli di quell’epoca? Conquistadores non è una serie fatta di attori, ma una serie fatta di personaggi. Non stavamo cercando grandi nomi, stavamo cercando esattamente Pizarro, Balboa, Cristoforo Colombo. Perciò abbiamo fatto un casting lungo un anno, che ha esaminato più di 500 persone di nazionalità molto diverse, non solo spagnoli.
José Sisenando, Francisco Pizarro, per esempio, non è un attore. O non lo è stato fino a Conquistadores. Lavora in una fabbrica. Ma non c’è nessuno che possa reincarnare Pizarro come lui. Durante le riprese, tutti gli attori si sono presi cura dei propri vestiti, hanno pulito la pelle dei loro mantelli e protetto le loro armi in modo che non arrugginissero. Hanno dovuto lottare contro le zanzare come il resto dei membri del team, e come sicuramente fecero Colombo, Cortés o Magellano.
Tutti gli attori si sono lasciati crescere i capelli e la barba per un anno intero prima di dar vita ai loro personaggi. Il sudore che impregnava le loro camice, le croste sulla pelle, tutto ciò che succede quando si passa troppo tempo su una barca o nel mezzo della giungla.
Abbiamo cambiato l’iconografia e l’immagine che gli spagnoli avevano dei conquistatori. Se nel gennaio del 1492 uomini barbuti e vestiti con il metallo di una armatura di 30 chili prendono la città di Granada, come è possibile che solo sei mesi dopo, quando le tre caravelle di Colombo raggiungono il Nuovo Mondo, questi stessi uomini sono ben rasati, con capelli e vestiti ben curati più tipici del Rinascimento che della fine del Medioevo?
No, la moda non è cambiata così velocemente, soprattutto considerando il fatto che gran parte degli scopritori e dei conquistatori furono esattamente gli stessi che avevano preso Granada: Colón, Ponce de León, Ojeda, Pedrarias Dávila.
Vi siete avvalsi della consulenza di etnografi esperti ?
Sono molto contento del lavoro che abbiamo svolto con le popolazioni indigene che hanno partecipato alla serie: Tucano, Ticuna, Sateré Mawé, Apuriná. Tutti si esprimono nella loro lingua, provando così che questi idiomi ancora oggi appartengono agli stessi alberi linguistici dei dialetti parlati un tempo dalle tribù menzionate dai conquistatori nelle loro cronache.
Il loro aspetto, le decorazioni sui corpi, le pitture, i costumi: ogni dettaglio è stato curato per avvicinarci il più possibile alle descrizioni di quelle genti giunte ai nostri giorni. Per girare la scena del primo incontro tra europei e nativi, abbiamo tenuto il gruppo degli spagnoli separati dalla tribù che li avrebbe ricevuti fino al momento dell’azione.
Si sono incontrati così per la prima volta davanti alla cinepresa. Non abbiamo avuto bisogno di fornire agli indiani molte linee guida. Chiedevamo loro solo una cosa: di comportarsi come i nonni dei nonni dei loro bisnonni avrebbero fatto, vedendo quelle barche avvicinarsi alla spiaggia.
Molte tribù erano spesso feroci e disorientate tanto quanto i conquistatori. Nel suo film non c’è spazio per una ammirazione superficiale per il ‘buon selvaggio’. Se devo scegliere tra il selvaggio buono e il selvaggio crudele, scelgo il primo. Non nascondo l’amore che provo per loro. Abbiamo vissuto insieme per molto tempo, con molte tribù diverse, e anche se la teoria del buon selvaggio non si avvicina alla realtà, nemmeno quella del selvaggio crudele lo è.
Abbiamo applicato la logica, il comportamento naturale che possiamo intuire avesse ciascuna tribù prima dell’apparizione di quegli esseri barbuti e metallici e, soprattutto, ci siamo basati sulle descrizioni fornite dai cronisti su ciascuno di questi incontri.
Conquistadores è un epos cantato con poche parole. La sceneggiatura è sintetica e i dialoghi ridotti al minimo. Poche parole, che proprio per questo restituiscono l’enormità dei paesaggi che questi Europei videro in assoluto per la prima volta. Come è riuscito a creare questa integrazione tra le brevi conversazioni e la sua regia che definirei maestosa? Tutto nel Nuovo Mondo era grande agli occhi di un europeo: i fiumi erano giganteschi, le tempeste enormi, gli alberi avrebbero potuto essere stati piantati da giganti, i gatti del Nuovo Continente erano giaguari e i rettili coccodrilli con denti aguzzi.
Le descrizioni lasciateci da quegli uomini sono piene di misticismo, superstizione e poesia. Non avevano nemmeno le parole giuste per raffigurarsi una terra così diversa da quella da cui provenivano.
Non è sorprendente che pensassero di vedere draghi, sirene, amazzoni o città coperte d’oro. Prima ancora che i nostri personaggi cominciassero a parlare, avevamo già degli ingredienti meravigliosi in modo che potessero esprimere ciò che sentivano.
Aveva intenzione di girare un film o un documentario? Perché il risultato finale è a metà strada tra i due generi. Non credo molto nella differenza tra finzione e documentario. Al giorno d’oggi, gli elementi narrativi che costituiscono un genere sono quasi gli stessi. Ma la realtà è diversa: siamo stati incaricati di girare un documentario e abbiamo deciso di fare un film. La nostra missione era quella di salvare il meglio del documentario per rendere il film il più realistico possibile.
Conquistadores ci dà una immagine talmente originale della grandezza della Spagna: che tipo di Spagna voleva offrire al pubblico? Lo spagnolo alla fine del XV secolo si considera l’erede della Roma imperiale e crede di essere superiore a tutto ciò che lo circonda: al portoghese, all’inglese, al francese e, naturalmente, anche agli indiani. È questa convinzione che motiva un gruppo di soli 40 uomini ad addentrarsi in qualsiasi giungla, attraversare un continente inesplorato e raggiungere l’Oceano Pacifico. Noi usiamo ancora molto una espressione che definisce molto bene lo spagnolo per così dire allattato con il ferro, e cioè ‘per cojones’. Non è facile tradurre il suo significato, soprattutto perché lo usiamo per rispondere a molti atti che qui non possiamo spiegare. Mettiamola così: perché entreremo in quella giungla? perché sì, per dimostrare semplicemente il nostro valore, “per le palle”. Perché se io lo faccio, tu non puoi tirarti indietro e mi seguirai.
Ho studiato in profondità il carattere degli spagnoli. Non siamo poi molto cambiati da allora. L’invidia, per darti un esempio. Se uno spagnolo trionfa, il resto degli spagnoli non tarderà a cercare i suoi difetti e inizierà a criticarlo. Se Antonio Banderas si reca a Hollywood per girare un film, immediatamente cento spagnoli diranno “come si chiama quel Banderas, che è così poco bravo? Abbiamo tagliato la testa di Balboa poco dopo che aveva scoperto un nuovo oceano, il più grande della terra … Colombo è morto solo e abbandonato, Hernán Cortés era praticamente un mendicante, Pizarro assassinato dagli spagnoli, Ojeda, Elcano … Tutti la stessa fine. Uccisi da una freccia, o da noi.Nessuno è riuscito davvero a godere della gloria che tanto cercava. Pure io, da una parte mi auguro che Conquistadores abbia molto successo in Italia, ma, d’altra parte, come spagnolo, temo che se ciò accade, mi taglieranno la testa !
Quando una fiction funziona, Netflix o meno, il racconto produce una sensazione fisica, non importa quanti secoli siano passati dagli accadimenti messi in plot del XXI secolo. Ti senti addosso quello che passa sullo schermo. Questo è Conquistadores Adventum, una strepitosa serie tv spagnola, prodotta e voluta dalla Movistar +, che RaiStoria ha trasmesso con l’introduzione di Alessandro Barbero.ConquistadoresAdventum è un capolavoro. .
Astutamente, e con una notevole onestà intellettuale, gli autori fissano l’origine della storia dei Conquistadores nel campo dell’esercito spagnolo davanti a Granada, ultima roccaforte musulmana in terra ispanica. Isabella di Castilla passa in rassegna l’esercito, incita i suoi.
Dinanzi ad un soldato che le crolla ai piedi sconvolto dall’entusiasmo della crociata religiosa e dalla riverenza assoluta per una sovrana altrettanto assoluta, con atto di tenerezza dice: “avremo altre battaglie in cui la Spagna sarà vittoriosa”.
Già la attende una conversazione con l’italiano Colombo (un super convincente Miguel Lago), che sa che le esplorazioni sono ispirazioni della divina saggezza nel cuore di uomini audaci impegnati a far trionfare la gloria di Dio meno di quanto, invece, siano esercizio del potere di uomini su altri uomini.
“Sua maestà deve avere il coraggio di regnare”, dice Colombo a Isabella per convincerla a finanziargli la spedizione atlantica.
I Conquistadores – Colombo, Fransisco Pizarro, Vasco Nunez de Balboa, Alonso de Ojeda – sono caratteri religiosi, barbuti, brutali. Sussurrano alla spada e alla croce traendo ardimento da un carattere per noi quasi inaccessibile. Oscuro.
L’oscurità è infatti l’atmosfera metafisica di Conquistadores.
Colori tutti sul verde, sul blu, sul grigio, una monocromia che in qualche modo riflette la poca luce della foresta tropicale intatta in cui si addentrano gli Spagnoli, ma che è anche una metafora di altro.
E questo altro è il principio stesso della civiltà occidentale, che gli autori sembrano aver messo in sceneggiatura più guardando a Nietzsche che a modelli come Nuovo Mondo di Terrence Malick. La nostra civiltà occidentale, che non riusciamo più a leggere se non entro schemi di matrice positivista importati dalla cultura di massa americana, non viene dalla luce, ma dal buio.
Un buio che Conquistadores mostra in molte declinazioni, tutte efficacissime dal punto di vista cinematografico: il buio del totalmente ignoto, che era ovviamente paura fottuta, ma anche adrenalina purissima, e quindi motore a pieno regime per l’impresa.
Il buio della ferocia di caratteri puramente erotici come De Ojeda (l’ottimo Roberto Bonacini), il “demonio dagli occhi azzurri” devoto alla Vergine Maria, prototipo appunto nietzschiano di una volontà di potenza ambiguamente fusa con un desiderio di affermazione incomprensibile al suo stesso animo.
Il buio dei genocidi che verranno, che la conquista imponeva e voleva. Tutto questo fa riflettere lo spettatore europeo, che nello spettacolo avverte l’ingombrante sentimento di avere qualcosa di più di un lontano passato in comune con questi precursori oscuri dell’altrettanto oscura avanzata del capitalismo globale.
La lingua di tutto questo fu lo spagnolo. I Conquistadores parlano uno spagnolo maestoso e terrificante. La sonorità scultorea, eburnea e tornita della lingua va purtroppo perduta in traduzione, ma chiunque volesse avere una sensazione fisica di cosa fu per l’Europa, e poi per l’umanità intera, arrivare oltre le colonne d’Ercole, Conquistadores Adventum lo deve vedere.