
Cari lettori, care lettrici,
Da qualche anno un post-it giallo campeggia sullo stipite della porta all’ingresso della mia cucina: “Believing in evolution is just a description about you”, ossia “Credere nell’evoluzione delle specie ti descrive”. Ti qualifica, rende noto il tuo carattere, è un indizio della concezione che hai della vita. Avventurosa e aperta al caso, oppure chiusa in se stessa e ostile all’ignoto. Il motivo per cui questo motto sta dove sta in casa mia è che, da sempre, penso che la biologia evolutiva, e quindi i fondamenti della evoluzione delle specie, oggi arricchiti dalla genetica, sia il faro nella notte nella protezione delle biodiversità. Troppo spesso gli ecologisti confondono il sentimentalismo con la scienza. C’è però un secondo motivo per cui il riferimento all’evoluzione delle specie domina i miei pensieri e i miei programmi.
Io credo nell’evoluzione, proprio come atteggiamento, indole, Weltanschauung. Questo per me non significa solo che il caso (la mutazione a random che viene poi passata al setaccio della selezione naturale e diventa ereditaria) è il grande scultore del mondo vivente, ma anche che la sperimentazione (il fatto che ad ogni generazione siano possibili cambiamenti capaci di imprimere una certa direzione alla specie) dovrebbe essere la nostra migliore strategia psicologica nei marosi dell’esistenza. Al di fuori e ben al di là di opportunismi, meschinità di facciata, adulazione, tutte caratteristiche scambiate, ahimè, per virtù.
Saper osare qualcosa di originale, questa è la lezione che dovremmo imparare dall’evoluzione degli esseri viventi.
Ed è questo lo spirito, il progetto, la colonna vertebrale di Tracking Extinction. Non basta fare informazione sulla sesta estinzione di massa, bisogna anche fornire una interpretazione di quanto accade al fenomeno della vita biologica. Serve un pensiero ben documentato, ma che sia un pensiero sulla scomparsa delle specie animali e vegetali dal nostro sguardo, dal nostro animo e dal nostro futuro. Serve il giornalismo e serve anche il racconto scientifico. Per tutte queste ragioni Tracking Extinction si distingue da ciò che trovate sulle principali testate giornalistiche italiane.
Voi la sapete bene.
Lo scorso ottobre mi è stato proposto di scrivere per uno di questi giornali. La proposta era condizionata all’accettazione, oltre che di una retribuzione da fame, di un piano editoriale preciso: “dobbiamo dare un messaggio positivo”. Ho rifiutato, dicendo un NO clamoroso. Non credo che sia compito di un giornalista fornire un messaggio comodo, di circostanza e abbastanza morbido da soddisfare il bisogno di comfort dell’establishment. Penso, invece, che ormai è indispensabile dire la verità. Anche quando in ballo c’è la sesta estinzione di massa, con tutte le sue ambiguità culturali ed ecologiche.
Potete immaginare, suppongo, che scegliere di percorrere una via indipendente, senza la protezione di un editore big player, è una decisione non comune. Dimostra una certa intraprendenza. È una decisione che vien fuori da quel tipo di fede nell’evoluzione di cui vi parlavo prima. Questo è un magazine che accetta la sfida ed entra in partita senza trucchi: non uso le Adds di Google e di Facebook per avere traffico. In compenso, sapete bene che cosa avete letto e ascoltato qui: 60 articoli nel solo 2020, ossia 5 articoli al mese; 33 puntate del podcast, per un totale di 660 minuti di audio.
Per questo vi chiedo di chiudere questo 2020 con una donazione a Tracking Extinction. Se si crede in qualcosa, si è disposti ad andare fino in fondo. Altrimenti, è stato tutto uno scherzo, un gioco, una bagatella, la solita, vecchia storia di cuori spenti e menti annoiate.
Sono certa che voi siate molto di più. Grazie !
Auguri e, statene certi, ci vediamo nel 2021 !
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