Home » Pandemia » La pandemia peggiorerà l’insicurezza alimentare

La pandemia peggiorerà l’insicurezza alimentare. Su tutto il Pianeta, ma soprattuto là dove le diseguaglianze sono già enormi. Il Global Report on Food Crisis 2020 della FAO fornisce dati preoccupanti in tal senso, proprio perché raccolti prima del Covid-19: 135 milioni di persone in 55 Paesi si trovano in condizioni di grave insicurezza alimentare e di queste 73 vivono in Africa.

Proprio nel continente africano il Covid potrebbe dimostrarsi la peggiore delle tempeste perfette.

Va peggio del 2018 a causa di crisi concomitanti, non solo militari ( DRC e Sud Sudan), ma anche climatiche: ad esempio le siccità in Pakistan, Zimbabwe e Haiti. Altri 183 milioni in 47 Paesi sono ad un passo dallo scivolare anch’essi nella miseria alimentare. Tra i peggio messi ci sono anche il Venezuela e il nord della Nigeria: è un disastro globale. 

È importante sottolineare che lo stress alimentare calcolato da questo Rapporto FAO prende in considerazione due parametri:  l’apporto calorico e la varietà della dieta. In altre parole: non si può vivere sani o crescere mangiando solo miglio, riso e manioca. 

Più della metà dei 77 milioni di persone che patiscono la peggiore insicurezza alimentare in Medio Oriente e in Asia vive in Paesi in cui ci sono conflitti armati di vario genere; poi ci sono le crisi regionali, anche queste militari, del bacino del Lago Chad e delle nazioni del Sahel.

L’intera fascia centrale sub-sahariana del continente, dal Cameroon al Burkina fino alla Repubblica Centro Africana (CAR) vive in uno stato cronico di stress alimentare. Anche in America Latina e nei Caraibi l’instabilità civile e politica, unita ai cambiamenti nei pattern climatici, sta creando le peggiori condizioni per l’instaurarsi di una fragilità alimentare conclamata. 

È  molto probabile nei prossimi mesi un peggioramento della insicurezza alimentare e della carestia per decine di milioni di persone: “se è vero che il Covid-19 non fa discriminazioni, i 55 Paesi e i loro territori che ospitano questi 135 milioni di persone in acuta insicurezza alimentare con urgente bisogno di aiuto umanitario, cibo e assistenza alla nutrizione sono i più vulnerabili alle conseguenze di questa pandemia, perché hanno una limitata o inesistente capacità di fronteggiare gli aspetti sanitari, di salute e socio-economici dello shock. Queste nazioni potrebbero trovarsi di fronte al dilemma di decidere se salvare vite o mezzi di sostentamento o, nel peggiore degli scenari, se salvare persone dal virus o farle morire di fame”. 

Come ha detto al magazine americano VOX Sean Granville-Ross, economista keniota esperto in agricoltura e organizzazioni umanitarie, “una crisi massiccia legata al corona virus potrebbe diventare rapidamente, in egual misura, una crisi di sicurezza alimentare. Sappiamo infatti che milioni di persone in Africa vivono già sul filo di lana della povertà o appena sotto. Basta un piccolo shock o una crisi a spingerli ben sotto quella linea”.

Un possibile collasso potrebbe subirlo naturalmente anche l’economia informale delle metropoli urbane e cioè tutte quelle attività di vendita al dettaglio, in strada, di servizi a richiesta che non sono inquadrati nell’economia ufficiale, ma che sostengono il reddito di decine di milioni di persone indigenti. Altre incognite riguardano i prezzi dei generi alimentari in importazione ed esportazione. La Repubblica Democratica del Congo, il Sudan, la Siria e lo Yemen, ad esempio, dipendono fortemente dalle importazioni, ma hanno una moneta debole ed enormi problemi interni di instabilità sociale, guerriglia e campi profughi. I prezzi del cibo sui mercati internazionali potrebbero salire a totale detrimento dei milioni di poveri già in estrema difficoltà. 

C’è poi il cambiamento climatico. Lo Zimbabwe è un caso emblematico.

Secondo la FAO, qui solo in 2 stagioni di semina e raccolta sulle ultime 5 le piogge sono state normali. Nel 2019 il Paese ha attraversato la peggiore siccità degli ultimi decenni, con temperature che in alcune regioni sono arrivate a 50 gradi Celsius.

Il ciclone Idai del marzo 2019 ha coinvolto 270mila persone nei distretti orientali e meridionali, aggiungendo devastazione ad un Paese con una inflazione devastante e una crisi politica mai risolta neppure con la morte del suo storico dittatore, Robert Mugabe. La produzione di mais del 2018/2019 è stata del 40% più bassa della media degli ultimi cinque anni. Queste condizioni si traducono nella percentuale di bambini tra i 6 e i 23 mesi che sono adeguatamente nutriti: solo l’11%. 

La conclusione del Rapporto FAO è questa: “la pandemia può rivelarsi devastante per la vita e sicurezza alimentare, specialmente in contesti di fragilità e in modo particolare per la maggior parte delle persone vulnerabili che lavorano nella agricoltura informale e dei settori agricoli. Una recessione globale, poi, distruggerà le reti di rifornimento del cibo”.

E infine ci sono le locuste.

In Africa orientale, anche dove le piogge sono state abbondanti per i campi, lontano quindi da terrificanti siccità, le alluvioni anomale, hanno generato una invasione di locuste di proporzioni bibliche. 

“Benché operazioni di controllo terrestre ed aereo siano in progress, le piogge diffuse che sono cadute alla fine di Marzo permetteranno a nuovi sciami di persistere in condizioni di umidità, di maturare e di deporre le uova, mentre nuovi sciami potrebbero quindi muovere dal Kenya all’Uganda, al Sud Sudan e in Etiopia. Durante maggio le uova si schiuderanno in nuovi sciami, pronti entro la fine di giugno e luglio, in concomitanza con l’inizio dei raccolti”, avverte il LOCUST WATCH della FAO. 

In Kenya, da qui a luglio si teme che siano colpite almeno 985mila persone. In Etiopia, stormi di locuste si stanno disperdendo verso nord, nelle regioni di Oromio e in direzione della Somalia. Il 17 aprile uno stormo è stato avvistato a Katakwi, in Uganda. Possibili sciami potrebbero abbattersi nei prossimi due mesi anche sulla Penisola Arabica e sull’Oman. 

Come ha scritto David Quammen nel suo best seller Spillover, se c’è una lezione che le zoonosi impartiscono con chirurgica precisione è che tutto ha una origine. Direi che ce ne è anche un’altra, forse ancora più misconosciuta: nulla avviene a bocce ferme. Vale a dire che nessuna crisi esplode nel migliore dei mondi possibili e che noi abbiamo fatto di tutto per far accadere questa nel peggiore dei contesti sociali ed ecologici.

Con un cambiamento climatico sostanzialmente fuori controllo e una inerzia politica totale nei confronti della catastrofe ecologica, era scontato che un evento stocastico con una potenzialità di amplificazione planetaria ci avrebbe trovati del tutto impreparati ed esposti. Ed è questo che si presenta davanti a noi negli scenari alimentari globali: un inasprimento di condizioni insostenibili da decenni. 

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