Home » Biopolitiche » E’ giusto non avere figli?

Auspicare il controllo della demografia umana è anti-femminista, disumano e razzista. È questa l’accusa mossa da Meehan Crist, writer in residence in Biological Sciences alla Columbia University, New York, lo scorso 14 febbraio in un public talk al British Museum di Londra organizzato dalla prestigiosa London Review of Books all’interno della rassegna Winter Lectures. E allora, è giusto non avere figli? O è un atto di sconsiderato narcisimo mascherato di ecologismo? O, peggio ancora, ciò che resta di ideologie pericolosissime, fin troppo compromesse con la preseunta obiettività dell’ecologia come scienza esatta?

Sotto le spoglie di un ragionamento sulla tenuta civile di un modello sociale fondato sull’uso dei combustibili fossili non meno che dalla libertà di scelta, la Crist ha in realtà articolato una accusa infamante nei confronti di parte dell’ambientalismo militante. E di non poche donne.

Arrivando ad affermare che parlare di riduzione delle nascite significherebbe avere simpatie per il nazionalsocialismo e e le sue fantasie eugenetiche. Per Crist, infatti, i movimenti e i ricercatori con pubblicazioni in peer review che predicano la necessità di ridurre la popolazione umana traggono ispirazione dalla “Ecologia Profonda e dal Terzo Reich”.

La London Review of Books non è nuova ad ospitare scritti che denunciano il discorso sulle nascite, con un taglio decisamente conservatore, viziato da uno snobismo neanche troppo celato.

E non è neppure un fatto isolato accusare di nazismo chi dice che la crescita demografica di Homo sapiens è un problema ecologico.

Ma l’intervento del 14 febbraio di Meehan Crist al British Museum è una altra cosa, per la gravità sconsiderata delle affermazioni contenute in un discorso solo apparentemente conciliante e moderato, che si pronuncia invece con toni spropositati e disinformati a difendere un antropocentrismo sempre più pericoloso.

Va anche detto che, troppo spesso, i ragionamenti sulla iper-demografia umana escludono la responsabilità del consumismo nella distruzione del nostro Pianeta. Accusando i popoli non europei, con tassi di natalità molto superiori a quelli del Nord Globale, di pesare troppo sulla Terra. Una forma di razzismo molto subdola. Per questo motivo intellettuali africani come Mordecai Ogada giudicano qualunque discorso sulla demografia come l’ennesima prova del neocolonialismo.

Non di rado il potere coloniale si è servito della sterilizzazione dei nativi. Accadde anche negli Stati Uniti, come ha raccontato la regista controcorrente Lorna Tucker.

Ma l’intera questione merita una riformulazione totale. Il fatto che di un problema (siamo in troppi) si sia discusso in modo fuorviante e talvolta immorale, non significa che il problema non sussista. Va anche detto che la iper-demografia umana non riguarda le società del Sud Globale in modo speciale, e neppure quelle del Nord Globale. E’ una caratteristica della nostra specie. Quindi la sovrappopolazione dovrebbe essere inquadrata non solo del contesto del colonialismo, e a ragione. Ma anche della identità evolutiva degli esseri umani.

Secondo Population Matters, il think tank londinese che si occupa di divulgare consapevolezza sulla incompatibilità tra la demografia umana e il futuro del Pianeta “il pezzo della Crist ripete lo stanco, anacronistico e convenzionale luogo comune sulle campagne che riguardano la popolazione, ancora in voga per alcune persone, a dispetto di ogni evidenza del suo essere erroneo.

Fondamentalmente, la sua analisi consiste in questo, che sollevare preoccupazioni sulla popolazione o proporre famiglie più piccole come soluzione ai problemi ambientali escluda per definizione tutte le altre soluzioni. Parlare di popolazione significa allora essere o cechi o complici di razzismo, colonialismo e desiderio di controllo del corpo delle donne”. 

In effetti, almeno all’inizio, la Crist riconosce che il diritto di scelta se diventare madre o meno “comincia a sfocare rapidamente, quando ammettiamo che le condizioni per la prosperità degli esseri umani sono distribuite in modo così diseguale e che, in una epoca di catastrofe ecologica, fronteggiamo uno spettro di possibilità per il futuro in cui queste stesse condizioni non esisteranno più in modo affidabile”.

Dunque avere un figlio non è più soltanto un moto intimo e irrazionale, ma, anche, ormai, “un atto politico, che con sempre maggior forza ci richiede di confrontarci non solo con la complessità biopolitica della gravidanza e della nascita, ma anche con le eredità interconnesse del colonialismo, del razzismo e del patriarcato”. Sulla linea di confine, insomma, tra ciò che è personale e ciò che funziona su di un piano globale. 

Ma è proprio questo principio, il fatto incontestabile che ogni nostra decisione è un prisma di risonanze al di fuori della nostra diretta sfera di influenza, che Meehan Crist non riesce a mantenere saldo il timone. E a scandagliare con la necessaria lucidità. 

La responsabilità maggiore dello stato attuale del Pianeta, infatti, sarebbe ascrivibile, secondo Meehan Crist, ad un capitalismo aggressivo e immorale, un regista nascosto più simile al Grande Fratello di Orwell che alla moderna struttura economico-finanziaria delle società avanzate.

Il gioco di prestigio delle multinazionali coincide con l’invenzione, per Crist, della “impronta ecologica (carbon footprint)”, strumento indispensabile per caricare sulle spalle del singolo cittadino la colpa del disastro del Pianeta e del cambiamento climatico. All’altro estremo di questa “strategia della colpevolizzazione” starebbe l’ideologia malthusiana della sovrappopolazione.

Anche Bill McKibben, probabilmente il giornalista ambientale più famoso al mondo, fondatore di 350.org e pioniere del giornalismo scientifico sui cambiamenti climatici, non sarebbe immune da questo revanscismo malthusiano, visto che “più di 20 anni fa, nel suo libro Maybe One (Forse Uno) confezionò un sermone neo-malthusiano per i suoi seguaci americani a proposito del danno, limitato, che avrebbe recato al Pianeta rendere un solo figlio una norma culturale”. 

Meehan Crist ritiene che “recentemente, la logica della impronta di carbonio sia stata associata alle idee sulla popolazione umana in un modo allarmante”. E si lancia in esempi che non sono tratti dalla cronaca ambientale o ambientalista, ma dalla cronaca politica in contesti di esercizio distorto delle libertà democratiche. La faziosità di questi esempi è sconcertante: una campagna di sterilizzazione forzata su donne che avevano già avuto 2 o 3 figli in Uzbekistan; o o su donne positive all’HIV in Cile, Namibia e Sudafrica. 

Ma c’è di più. Le pericolose idee ecologiste troverebbe eco in un appello sottoscritto da 11mila scienziati nel novembre 2019 su BioScience per arginare il collasso della biodiversità.

“La stessa aritmetica nutre le fantasie eco-fasciste che attraversano la destra on line Deep Green e hanno contribuito ad incitare le sparatorie di massa in Texas e Nuova Zelanda. In queste oscure visioni del futuro, la purezza razziale salverà il Pianeta. Confini chiusi e veganismo”.

E tutto questo dal momento che “la Ecologia Profonda e il Terzo Reich servono da ispirazione”; inoltre “sarebbe fin troppo azzardato ignorare la tendenza dell’anti-umanismo (e in particolare trend come la sociobiologia, il Malthusianesimo e la Ecologia Profonda) nel nutrire politicamente il Darwinismo sociale”.

La Crist ignora palesemente i numeri e i risultati del Rapporto Ipbes del 2019, che ci dice fino a che punto la perdita di habitat sia una concausa della estinzione di massa in corso. E scrivendo che “desiderare meno figli è un terribile punto di partenza per ogni politica” Crist dimostra di non conoscere neppure il dibattito sulla tenuta ed utilità dei parchi nazionali nella conservazione, o le valutazioni attorno dei limiti genetici delle popolazioni isolate e frammentate di qualunque specie.

Ognuno di noi è responsabile del ruolo e delle scelte che compie nella epoca storica in cui gli è toccato in sorte di vivere. Di più, ognuno di noi ha il dovere di essere consapevole delle evidenze scientifiche che definiscono non solo le condizioni ecologiche ed evolutive della nostra presenza sul Pianeta, ma anche delle conseguenze che tutto questo implica all’interno della storia della civiltà.

Il grande psicoanalista Wilfred Bion sosteneva che il soggetto, ossia l’Io pensante, è chiamato a prendersi la responsabilità non solo di ciò che ha fatto, ma anche di ciò che ha compreso di se stesso e della sua storia.

“Proprio come per gli attivisti che lavorano sulla plastica e il rewilding sanno che i loro non sono gli unici problemi sul tavolo, e nemmeno le uniche soluzioni, così chi fa campagne sulla popolazione riconosce che affrontare la demografia è soltanto una delle molte azioni essenziali alla salvezza del nostro Pianeta. Credere che la popolazione sia un problema non significa affatto sostenere l’attuale sistema economico”, puntualizza Population Matters.

La cultura del consumo, o del super-consumo, è infatti l’altra faccia della presunzione di poterci riprodurre all’infinito. La stessa demografia in espansione è una esigenza del capitalismo, che ha bisogno di consumatori ad infinitum.

Senza miliardi di consumatori neppure la migliore compagnia petrolifera potrebbe avere i conti in attivo. Il ragionamento di Meehan Crist contiene quindi un determinante vizio di logica: il super-consumo non nasce per decisione degli amministratori delegati delle compagnie petrolifere con piattaforme off-shore, ma è una esigenza antropologica inscritta nelle premesse della Rivoluzione Industriale, come ha spiegato Peter Sloterdijk.

Il consumismo-capitalismo trova nelle riserve energetiche fossili (petrolio e gas) il carburante per ciò che Sloterdijk chiama “Lebensentlastung” e cioè sgravio dalla fatica di conquistare il pane per vivere, dalla maledizione del lavoro nei campi durato per millenni.

Il desiderio assoluto di vivere meglio, di avere di più, di avere qualcosa. È da questo motore psicologico che si avvia il processo di costruzione di economie moderne a incremento progressivo di tecnologia. Senza lo sgravio, sarebbe stato impensabile sia progettare il sogno di una demografia infinita sia sostenere una demografia in espansione infinita. 

Invertire le aspettative esistenziali e materiali che le fonti fossili hanno generato nella umanità attuale. Ecco il terribile compito che attende i genitori di domani.

 

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