IMG_2633
Home » Biopolitiche » Clima e IPCC: coinvolgere i popoli nativi

Diciamo la verità, il rapporto IPCC presentato ieri a Ginevra alle ore 10 del mattino, Climate Change and Land, non ci ha detto nulla che non sapessimo già: “Il livello di rischio posto dai cambiamenti climatici dipende, contemporaneamente, dalla intensità del riscaldamento e dal modo in cui la popolazione, i consumi, la produzione e lo sviluppo tecnologico, insieme agli schemi di gestione delle terre, si evolvono”. Clima e IPCC: coinvolgere i popoli nativi. Questa la vera novità. Per la prima volta più della metà dei ricercatori che hanno contribuito alla raccolta dati viene da Paesi non occidentali.

Questo significa che il punto di vista delle nazioni più svantaggiate del Pianeta è sempre più autorevole nella lettura della nostra situazione globale.

Il Report IPCC si concentra sulle attività umane che coinvolgono l’uso della terra, in primis agricoltura e attività forestali. Entrambe producono infatti emissioni serra: “valgono per circa il 13% di emissioni di CO2, il 44% di metano (CH4), e l’82% di ossidi di azoto (N2O) prodotte annualmente dalle attività umane. Esse rappresentano quindi il 23% del totale netto delle emissioni serra antropogeniche”.

Il terreno è una risorsa biologica ed ecologica di importanza critica: “la superficie terrestre deve rimanere produttiva per mantenere intatta la sicurezza alimentare mentre la popolazione aumenta e gli impatti negativi del clima sulla vegetazione si intensificano”.

La copertura a vegetazione ( foreste, boschi, savane) assorbe infatti i gas serra, ma è anch’essa sotto stress a causa della alterazione dei pattern climatici (regime delle precipitazione, tassi di evaporazione, siccità severe e prolungate, incendi).

“Questo significa che ci sono dei limiti al contributo che la superficie terrestre può dare per affrontare i cambiamenti climatici, ad esempio attraverso la coltivazione di colture a scopo energetico e la riforestazione. Occorre tempo perché gli alberi e il suolo comincino ad immagazzinare carbonio efficacemente”.

Uno dei motivi è che le foreste stesse sono in grave difficoltà per gli effetti combinati dell’aumento delle temperature globali e dell’intensificarsi delle siccità.

IMG_2635

Poiché usiamo enormi porzioni di territorio per allevare animali da carne, l’alimentazione è uno dei fattori che condiziona la capacità del suolo di mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.

I dati disponibili dal 1961 indicano che il consumo pro capite di oli vegetali e carne è più che raddoppiato. La quantità di calorie introdotte è cresciuta di circa 1/3 rispetto agli anni Sessanta. Questo si traduce in una erosione dei suoli fino a 100 volte superiore rispetto al tasso di rigenerazione dello strato fertile del terreno. 

C’è poi un altro fenomeno di cui sentiremo parlare sempre più spesso negli anni a venire: il vegetation browning.

Nelle foreste, le foglie degli alberi sotto stress idrico, e quindi meno efficienti nel fotosintetizzare l’energia del sole, diventano marroni. Un cromatismo visibile dai satelliti. Sta già accadendo nel nord dell’Europa e dell’Asia (Siberia e Germania), in parte del Nord America, nell’Asia Centrale e addirittura nel Bacino del Congo.

Attraverso le alterazioni imposte alla vegetazione, i cambiamenti climatici impattano anche sulla crescita degli animali allevamento nelle economie pastorali animali. Sta già accadendo in Africa. Nelle regioni montuose dell’Asia e del Sud America.

IMG_2634

Molti gruppi di attivisti delle comunità indigene hanno parlato ieri alla pubblicazione del Climate and Land IPCC per rivendicare il loro coinvolgimento nella governance mondiale sui cambiamenti climatici. Ecco le loro voci.

Zeid Raad Al Hussein, member of The Elders, former UN High Commissioner for Human Rights: “Le comunità indigene hanno conoscenze ricche ed elaborate sul loro habitat. Questo fa di loro degli ottimi conservazionisti e dei guardiani della biodiversità, e dei soldati indispensabili per combattere contro il cambiamento climatico.

Gli Stati, il settore privato e la società civile devono fare di tutto per assicurare pieno rispetto e protezione ai diritti delle genti indigene, inclusi i loro diritti alla terra, ai territori ed alle risorse, in accordo con gli standard stabiliti dalle leggi internazionali”. 

Victoria Tauli-Corpuz, UN Special Rapporteur on the Rights of Indigenous Peoples: “Salutiamo con soddisfazione il riconoscimento IPCC. Come chiunque cerchi di darsi un senso della crisi climatica, rafforzare i diritti degli indigeni e delle loro comunità è una soluzione che deve essere implementata adesso.

Abbiamo bisogno, tutti, ogni membro delle Nazioni Unite, di abbracciare queste evidenze e di vedere nelle genti indigene dei partner nello sforzo comune di proteggere il Pianeta e di raggiungere lo sviluppo sostenibile”. 

Edna Kaptoyo, Indigenous Information Network (Kenya)
“Per i popoli indigeni i sistemi di uso della terra e le pratiche connesse rispondono ad un approccio essenzialmente fondato sugli ecosistemi, all’interno di un sistema di valori che comprende che le risorse sono scarse nello spazio e nel tempo.

I popoli indigeni hanno conservato per millenni le loro terre e le loro risorse per il benessere loro e dell’umanità. La protezione dei diritti sulla terra degli indigeni è importante per assicurare che essi continuino le pratiche conservative negli ecosistemi di foresta e nelle pianure, per contribuire a mitigare gli impatti del cambiamento climatico”. 

Sonia Guajajara, executive coordinator of Articulação dos Povos Indígenas do Brasil (APIB): “La nostra esistenza è sempre stata minacciata quando sulle nostre terre è piombato il desiderio di possesso dei governi e delle corporation.

Questi interessi ci uccidono o ci chiudono dietro le sbarre, in modo che la terra possa essere usata in un altro modo ed essere adeguata agli schemi predefiniti. Ora questo report è qui per riconoscere che noi dobbiamo essere protetti, insieme alle nostre foreste, e alle nostre terre, per il bene dell’intero mondo. Ma i nostri diritti devono essere rafforzati e così la nostra presenza sulle nostre terre. Il mondo sarà disposto ad ascoltarci?”. 

Hindou Oumarou Ibrahim of Mbororo People from Chad and founder of the Association for Indigenous Women and Peoples of Chad (AFPAT), also member of UNFCCC Local Communities and Indigenous Peoples Platform Facilitative Working Group: “Il Summit sul clima delle Nazioni Uniti – UNSG – del prossimo settembre sarà un grande momento per tutti gli esseri viventi.

Sarà per me motivo di dolore se perderemo questa opportunità di rendere il mondo migliore, perché non voglio essere parte di una generazione che non si prende la responsabilità di una svolta. Non ho scelto di nascere in questo tempo, e proprio per questo non posso permettere a coloro che coloro che non sceglieranno di nascere dopo di me di patire le conseguenze delle nostre azioni”. 

(Photo Credits: IPCC Facebook Official Page)

Rispondi

MONDO ED ESTINZIONE

Scopri di più da Tracking Extinction

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading