Home » Kgalagadi » Wittengstein e i biscotti rusks

Si producono le riflessioni più strambe, la mattina, a zero gradi, bevendo caffè da un termos e mangiando i rusks, i biscotti secchi del Kalahari, con gli occhi bene aperti perché “there’re cats around”, ci sono i felini in giro. Wittengenstein spunta fuori dal nulla. Wittengstein e i biscotti rusks.

Abbiamo parole europee per descrivere i paesaggi del Bostwana? E quelle che abbiamo, sono adeguate?

Dopo lo !Xaus, penso sempre più spesso allo scarto tra gli elementi di cui è fatto il mondo attorno a noi, gli animali, le piante, e la terra di nessuno che gli ominidi hanno dovuto attraversare per sviluppare la capacità di parlare.

Forse osservavamo gli orizzonti africani in una sorta di frattura temporale.

Nel paleo-tempo in cui non eravamo ancora in grado di descrivere paesaggi e savane, e di dirli a modo nostro. Forse questa frattura ha lasciato un segno nello stupore afono con cui, ogni mattina, ci addentriamo in questi territori.

Non riusciamo a dire tutto ciò che vorremmo dire, benché all’alba il Kgalagadi sia ancora con noi, e noi nel Kgalagadi. La struttura logica del Pianeta Terra, cioè le catene di causa-effetto inscritte nei meccanismi chimici e fisici che rendono possibile la vita non possiamo descriverla con un linguaggio altrettanto logico.

Questo lo aveva capito Ludwig Wittgenstein: “Ciò che nel linguaggio si rispecchia, il linguaggio non può rappresentarlo. Ciò che si esprime nel linguaggio, noi non possiamo esprimerlo per mezzo del linguaggio”. 

In un perenne stato di sospensione, sono gli animali, che compaiono all’improvviso, a ricordarci che non tutto è comprensibile, che, anzi, di ben poche cose possiamo essere certi, e che le ragioni più concrete di ogni nostro presente hanno le loro radici in un luogo lontanissimo. La sesta estinzione è la rinuncia programmata,accettata, alla possibilità di incontri che non hanno nulla a che vedere con l’intelligenza razionale di noi umani.

Ancora una volta è una iena maculata ad annunciare questa legge insondabile, estranea agli assessment sulle specie del Kgalagadi, così sconfortante per noi occidentali che pretendiamo sempre di muoverci a misura chirurgica nelle cose delle vita.

La iena arriva trotterellando, si guarda attorno, perché deve bere. L’infanzia del mondo è il suo luogo lontanissimo, ma anche il mio. La iena viene a prendere la mia infanzia, la riporta a galla, la pone in una nuova narrativa, le cerca un posto migliore.

Anche questo è l’effetto di una mattina in Africa, una filogenesi al contrario, il nastro che si riavvolge.

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Fedele a questa legge, a Melkvlei compare un caracal femmina, la lince del deserto. Sono proprio queste le aspettative frustrate con cui i predatori si prendono gioco del turismo, dei fotografi professionisti, dei giornalisti, delle economia avanzate. Non esiste statistica che possa dare la certezza matematica di incontrare i leoni in un posto come il Kgalagadi.

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Il Kgalagadi è invece un luogo dell’ironia, della radura, dello schiaffo in faccia, un posto dove tutto quello che non puoi avere ti riempie il cervello e l’animo di autentica estasi. 

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